Riflessioni post-natalizie sulla violenza
Mi permetto di esprimere qualche riflessione (mi auguro non banale, schematica o riduttiva) rispetto ad un tema sempre molto attuale ed impellente, che rischia di scadere in una semplificazione sommaria, data la necessità di una sintesi: la violenza nel mondo, umano e naturale. In linea generale, occorre operare una distinzione sostanziale tra la violenza nel mondo primitivo e la violenza nelle società moderne. Dal punto di vista politico in primis. Il monopolio della violenza, nelle società moderne è appannaggio esclusivo dell’autorità statale. Invece, nelle società primitive, comprese alcune società pre-capitalistiche, domina ancora lo stato di natura in cui l’esercizio della violenza non è monopolizzato da un “Leviatano” inteso come forza superiore, mostruosa e spaventosa, che esercita un’azione coercitiva e frenante nei confronti degli istinti individuali. È lo stato moderno che si arroga il diritto di reprimere la violenza e il delitto commessi dall’individuo in nome di una legalità o autorità superiore (non più sacra o religiosa, derivante da dio, ma laica e civile, scaturita cioè da un principio terreno) al fine di imporre e stabilire, tramite la forza, l’ordine sociale. Altrimenti il caos regna sovrano, questa è almeno la giustificazione più banale e comune: “Homo homini lupus”. Ma questo sistema sociale e politico presenta i suoi “effetti collaterali”, che in realtà non costituiscono semplicemente il risultato di un processo di degenerazione e corruzione, bensì formano l’essenza stessa dello stato moderno. Mi riferisco all’origine ed alla natura classista, ingiusta e violenta, dello stato. Il quale esercita arbitrariamente la propria forza repressiva con il pretesto di ridurre e contenere la delinquenza ed il crimine, ma in realtà perseguita e punisce solamente le violenze commesse dagli oppressi e dagli sfruttati, mentre non impedisce, anzi tutela e sancisce i delitti perpetrati dagli sfruttatori. Dunque, non c’è dubbio che il problema della violenza sia sempre esistito in tutte le civiltà storiche ad ogni latitudine, nonché nella vita delle specie animali e naturali. Tuttavia, occorre discernere il tema della violenza nel mondo preistorico dai fenomeni della violenza e dello sfruttamento (dell’uomo sulla natura e dell’uomo sull’uomo) insiti nelle società classiste, a maggior ragione il distinguo vale rispetto a realtà capitalistiche contemporanee. Infatti, mentre nei lunghi millenni della preistoria non erano centrali i rapporti di violenza, sfruttamento e sopraffazione tra l’uomo e il suo ambiente, in quanto prevaleva un modo di vivere tutto sommato in armonia con il mondo circostante e gli altri esseri viventi, compresi i membri della comunità tribale del villaggio primitivo, invece nelle società classiste, soprattutto nei sistemi capitalistici, i rapporti giuridici ed economici di sfruttamento ed oppressione sono addirittura ingigantiti, nella misura in cui intervengono processi storici di alienazione, fi repressione ed omologazione di massa. Inoltre, faccio presente che non ho mai pensato di azzerare tutti i secoli di storia (antica e medievale) che intercorrono tra l’età preistorica e l’avvento del capitalismo moderno. La sintesi, che necessariamente ho dovuto compiere in questo mio ragionamento, potrebbe risultare una semplificazione eccessiva e riduttiva, ma non lo è. Almeno, lo spero. Infine, è evidente che la storia umana (intesa in un senso universale) non coincide e non si esaurisce assolutamente nella storia dell’Occidente, per cui occorre tener presenti una vastità ed eterogeneità, una molteplicità e complessità di aspetti e di elementi (economici, politici, giuridici, etico-spirituali e via discorrendo) che operano nella dialettica della storia, ma nemmeno si può negare o dimenticare che il modello di sviluppo dell’Occidente sia stato imposto su scala globale, portando all’estinzione cruenta di molte altre culture umane e di moltissime altre specie viventi sul nostro caro pianeta.
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