Riflessioni a mimose sfiorite
Negli anni Ottanta c’era qualcuno che scriveva per contestare il gesto del presidente Francesco Cossiga che, in occasione dell’otto marzo e durante una cerimonia ufficiale, omaggiava alcune donne agenti di Polizia con mazzolini di mimosa. Il gesto, anche motivato dalle migliori intenzioni, pareva non andare in una direzione di vera crescita e poteva sembrare una sottolineatura di differenze, una galanteria sminuente, considerato il contesto e la serietà, anche per motivi storici, della ricorrenza. Nel dibattito apertosi ci fu chi ricordava che in un certo paese arabo vi era una festa dedicata al cane, e in quel giorno le bestioline venivano accudite e coccolate eccezionalmente, salvo la ripresa, all’indomani e per tutto il resto dell’anno, delle bastonature consuete; altri proponevano provocatoriamente una festa del negro. Eccessi forse, posizioni eccentriche o elitarie. Il rischio c’era, ma ben bilanciato da proclami solo di facciata e da una stanca routine inconsapevole. Oggi le asprezze e le fanfare sono quasi scomparse per merito dei risultati raggiunti e di una maturazione generale, anche se indebolita da persistenti zone d’ombra. E si sprecano i nuovi slogan alla moda: «l’8 marzo è ogni giorno» e «l’otto tutto l’anno». Speriamo che, oltre che accattivanti, siano sentiti e praticati. In concreto occorre sottolineare il cambio di passo delle istituzioni e delle argomentazioni proposte dalla cultura e dalla stampa. Il presidente Napolitano ha effettuato un intervento concreto e senza retorica sottolineando che «per raggiungere una parità sostanziale è necessario incidere essenzialmente sulla cultura diffusa […] la parità di genere non può non essere parte di una generale ripresa di valori civili». Non ha mancato poi riferimenti alla questione dolorosa ed attuale della «donna oggetto», alle «nuove italiane» e al «divario e le strozzature che pesano nell’accesso al mercato del lavoro»; a tale proposito alcuni articoli evidenziavano che un aumento della percentuale di donne che lavorano, appena vicino alla media europea che è di circa il 60%, comporterebbe un incremento del Pil intorno ai 6-7 punti. Tali argomenti sollecitano riflessioni sulle cosiddette quote rosa. In una realtà priva di condizionamenti, alcuni quasi ancestrali, e di comodi vantaggi fondati su illegalità varie e violenze striscianti, di quote rosa non ce ne sarebbe alcun bisogno. La donna, per capacità intellettive, impegno e serietà, ha obiettivamente superato l’uomo negli studi e nel lavoro, anche senza godere delle stesse condizioni (figuriamoci ceteris paribus, come dice con ricercato sfoggio il governatore Mario Draghi per altre questioni). Dunque le quote rosa, che possono essere offensive e anche dannose (in caso di mala applicazione tanto per rispettarle), sono un puntello, un aiuto provvisorio per reagire a storture in atto, proprio derivanti da una certa cultura maschilista. Ma da questa contingenza si sta uscendo per una evoluzione di fatto, dovuta al rispetto delle leggi già vigenti e sufficienti, unita alla consapevolezza individuale e, finalmente, diffusa. Viene in mente un triste anniversario che può fare da paragone: sono circa trent’anni che è stato abolito il ‘delitto d’onore’, anch’esso insulto al diritto e alla parità (in quel caso non si trattava solo di ‘donna oggetto’, ma addirittura di ‘donna proprietà’). Arriverà il giorno, siamo sicuri, che sarà festosamente abolita la festa della donna, almeno nel senso oggi proposto. L’importante sarà, in ogni caso, rimanere nei canoni, nel rispetto, diremmo, naturale della natura e normale delle regole. Raggiunta la parità – ci potranno pure essere raffreddori fisiologici – non sarebbe bello e utile andare oltre. La donna che, sull’abbrivio, acquisisce gli stessi difetti dell’uomo sarebbe una mutazione pericolosa, perché potrebbe iniziare un nuovo ciclo di cui, con buona pace delle teorie scientifiche, non si sente desiderio. Quindi fiori ed omaggi a volontà, ma reciproci, come nella leggera pubblicità nella quale una lei offre un mazzo di rose ad un lui affacciato al balcone. Che male c’è? Magari dipende dalle intenzioni, ma se sono reciproche viva la vita.
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