RIFIUTI RADIOATTIVI E DEPOSITO NAZIONALE: QUALCHE ELEMENTO PER FARE CHIAREZZA
Chiariamo subito, non sono previsti siti idonei nell’area dei Castelli Romani e non si parla di scorie da centrali nucleari dismesse.
Nucleare non significa solo produzione di energia e grandi centrali ma anche tutta una serie di attività che comprendono l’ambito sanitario, quello della ricerca scientifica e industriale.
Probabilmente a molti di noi sarà capitato di dover fare una lastra radiografica; quella radiografia comporta una esposizione limitata e localizzata del nostro corpo a radiazioni, in particolare ai raggi X. In ambito sanitario vengono spesso utilizzate diverse tecniche per diagnostica e terapia legate alla chimica e fisica nucleare, come la scintigrafia o la radioterapia. Queste attività portano alla produzione di molti rifiuti di tipo radioattivo. Ma dove vanno a finire questi rifiuti? Quale è il modo sicuro per trattarli e collocarli? Oggi il problema prende forma con la proposizione di un Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi che sta suscitando ampio dibattito. Questa News vuole mettere in evidenza qualche elemento per fare chiarezza sulla questione. Partiamo dalle fonti.
In primo luogo la SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari), la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che opera in base agli indirizzi strategici del Governo italiano.
La SOGIN ha creato un sito specifico, si chiama depositonazionale, ben strutturato, semplice da consultare, che risponde a molte delle domande che il cittadino comune si può porre. Il 5 gennaio 2021, con la pubblicazione di una serie di Documenti, facilmente consultabili sul sito web “depositonazionale”, tra cui “Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI)” e, “Progetto preliminare del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico (DNPT)”, sviluppati da SOGIN in collaborazione con atenei e centri di ricerca, basati su 28 criteri di selezione proposti da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e da ISIN (Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione), ha avuto avvio la consultazione pubblica. La consultazione pubblica, della durata di 60 giorni, è finalizzata a coinvolgere i soggetti portatori di interessi qualificati nel processo di localizzazione del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico. È la prima consultazione pubblica che si svolge nel nostro Paese su un’infrastruttura di rilevanza nazionale che consentirà di mettere definitivamente in sicurezza i rifiuti radioattivi italiani.
Congiuntamente alle caratteristiche geologiche e ambientali del sito, il Deposito dovrà essere costituito da una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie per il contenimento della radioattività, progettata secondo gli standard IAEA (International Atomic Energy Agency) e dell’Ente di controllo ISIN.
Analogamente che per i rifiuti convenzionali, anche in questo caso subito si sono scatenati i Comitati del NO e le forze politiche locali, come se nessuno di noi avesse mai contribuito alla generazione di un rifuto radioattivo facendosi una semplice radiografia. Come succede in questi casi, gran parte dei media si sono schierati al seguito della politica.
Tra i pochi articoli equilibrati, che tentano di spiegare di cosa si sta parlando, citiamo l’articolo di Monia Procesi del 14 Gennaio 2021, pubblicato dalla rivista online INGVambiente (INGV sta per Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), che ha dato spunto a questa News.
Nei Paesi più vicini a noi troviamo esempi di Depositi definitivi per rifiuti radioattivi? La risposta è sì e sono presenti anche in Paesi come la Norvegia, dove non si è mai prodotta energia elettrica da fonte nucleare. Lo smaltimento dei rifiuti radioattivi è quindi una reale necessità da affrontare e risolvere in modo sicuro per le generazioni di oggi ma soprattutto per quelle che verranno. È necessario affrontare e superare il cosiddetto effetto NIMBY, (dall’inglese Not In My Back Yard, ossia “Non nel mio cortile”) per cui ogni comunità locale protesta contro la realizzazione di opere pubbliche che potrebbero avere impatto rilevante sull’ambiente a loro vicino.
È quindi indispensabile per tutti comprendere il fenomeno attingendo da fonti certe al fine di acquisire maggiori conoscenze per raggiungere un’opinione solida, critica e strutturata senza mai dimenticare che ad oggi i rifiuti radioattivi italiani sono ospitati in luoghi non idonei e richiedono quindi nuove e sicure collocazioni.
Sarebbe molto utile sentire la voce della classe medica che nell’esercizio della professione contribuisce alla generazione di rifiuti di tipo radioattivo.
Buona consultazione.
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