Ricominciare da qui, di Maria Lanciotti
“Vai resta torna/nulla cambia:/la nostra casa/è in noi”: non è soltanto una sequenza dell’inno al proprio amato (sezione ‘uva di monte’) che si dilata dolceamaramente in contemplazione minuziosa dell’universo fino a lambire la fantasia e il mito (“svolto l’angolo/e incontro/l’unicorno”), ma è il punto fermo del lucido sguardo di Maria Lanciotti sulla realtà nella quale è immersa.
La raccolta poetica ‘Ricominciare da qui’ Edizioni Controluce, 2011 (nota introduttiva di Rodolfo Carelli, Premio Viareggio opera prima 1974) è un grande affresco letterario di valenza corale, che alterna riflessioni su incontri, viaggi, fatti di cronaca alla prosecuzione del monologo interiore della scrittrice iniziato sin dalla sua prima pubblicazione e affidato indifferentemente alla prosa e alla poesia. L’opera della Lanciotti è una sughera secolare, la cui decorticazione ciclica è puntualmente uno scrigno di immagini, sensazioni, sentimenti. Dall’invettiva contro le guerre di religione (‘La terra delle spighe’) a quella contro le guerre per spartizioni geografiche (‘E pensavo a te’), dalla condanna per una morte sul posto di lavoro (‘Portami a ballare’) al pianto silenzioso per una piccola rom travolta al semaforo (‘Sangue gitano’), l’Autrice pronuncia il suo credo: “No, non rinuncio a Satana, / il gemello dell’Angelo. / No, non rinuncio al caos / degli istinti, ai sensi / dei progenitori / (…) No, non rinuncio a Satana, / l’altra faccia di Dio”.
Come già nell’opera di narrativa ‘L’erba sotto l’asfalto’ (2007), in cui la Lanciotti constatò amaramente come nella sua Ciampino il cuore del luogo non pulsasse più, l’Autrice si guarda intorno e chiama in causa tante assenze, tanti silenzi in luogo di musiche e canti e danze e lancia il suo allarme sociale per un mondo privo di linfa vitale: ‘Io non vedo bambini nel borgo’. Al suo appello rispondono gli extracomunitari, la società sempre più multietnica: in ‘Balcani’ una donna dell’est europeo è prossima al parto e “il suo bambino nascerà per via, / una buca per letto / e per tetto / un cielo maledetto”, natività povera e in bianco e nero ma pur sempre inno alla vita. Ed è dall’Africa che viene una delle immagini più grandiose dei concetti di donna e, insieme, di maternità ammirati dalla Lanciotti: “Nera e bella / sorride e non parla. /Va coi suoi figli / al petto e per mano / e il suo vestito africano / disegna forme regali” (‘Vestito africano’). Si ricomincia, si deve ricominciare da qui, dal sovvertimento dei luoghi comuni, di secoli di stratificazioni pseudoculturali rivelatisi poco più di chiacchiere da osteria o da fontanile. Ed ecco che P.P.Pasolini si rivela “religioso” proprio in quanto “era uno che non sopportava/le lezioni di religione. / Lui che portava le stimmate / negli zigomi ossuti” (‘Sproloquio’), ecco che l’umanità più coraggiosa è quella degli immigrati che “hanno il passo lento / di chi non insegue / vaneggiamenti / ma solo l’odore del pane / da spezzare ogni giorno” (‘Migranti’).
Maria Lanciotti ci indica la strada per la salvezza dell’umanità senza immagini iperboliche, senza ricorrere a parabole misticheggianti, senza promesse al futuro ma ben ancorata al presente: “Ricominciare da qui, / dal lembo di prato / fra dune di rifiuti, / dal fiore di malva / e dal cardo” (‘Ricominciare’).
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