Riaperta Villa d’Este a Tivoli e la mostra “Après le déluge”
(Serena Grizi) Le riaperture di Villa d’Este e del Santuario di Ercole Vincitore (vestigia finite di restaurare nel 2011 nella proprietà della ex cartiera cittadina sovrastata da un quartiere medievale) sono state accompagnate dagli ultimi giorni della mostra Après le déluge: viaggio fra opere riemerse e misconosciute, come altre visioni in territorio italiano spezzata in due dall’emergenza virale. La mostra stessa è testimonianza d’una storia spezzata, quella delle opere d’arte trafugate e vendute con doppio danno al nostro Paese: da una parte la perdita dell’opera per sempre o per lunghi periodi fino alle grandi operazioni che consentono di tornarne in possesso, condiviso dai cittadini, e dall’altra perché di queste opere, specialmente affreschi e pale, ormai decontestualizzate e ridotte alla dimensione di quadri trasportabili per facilitarne la vendita, è lunga e complessa la ricostruzione della loro storia e provenienza, persi i dati di scavo, soprattutto per le serie di affreschi provenienti dalle dimore risalenti alla Roma Antica.
Questo particolare viaggio ‘dopo il diluvio’, metafora della depredazione consumatasi a fini collezionistici e speculativi, alla scoperta di opere riemerse e misconosciute (viaggio nel viaggio fra le stanze appena riaperte al pubblico della Villa che fu del cardinale Ippolito d’Este) nasce dall’importante e romanzesco recupero di numerosi beni archeologici effettuato dal Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale coordinato dal Generale Roberto Riccardi che, unitamente alla Polizia Svizzera, hanno seguito tracce investigative che dal territorio italiano, oggetto di scavi clandestini, conducevano al porto franco di Ginevra. Questa operazione ha consentito di restituire al patrimonio nazionale un significativo nucleo di materiali sottratti illecitamente e destinati alla dispersione. Ai reperti riacquisiti si assommano nove opere messe a disposizione da collezionisti privati, che hanno inteso condividerne con il pubblico la bellezza e il significato. Il progetto, come raccontato dai curatori della mostra, si inserisce in una programmatica e intensa attività di cooperazione con i Carabinieri, iniziata nel 2019 con la consegna all’Istituto (delle Villae) della Arianna (Arianna dormiente in marmo di Luni – II sec. d.C.), un coperchio di sarcofago collocato nel chiostro di Villa d’Este. Questa nuova iniziativa ha permesso l’esposizione e la valorizzazione di oltre 40 reperti antichi considerati di grande valore scientifico poiché inediti e in corso di studio: lo stesso allestimento della mostra ne ha voluto seguire la particolarità progettando l’esposizione come spazio dalle connotazioni laboratoriali, con la presenza di casse e di supporti minimi.
«Riportare beni archeologici nei luoghi di origine – ha dichiarato il Generale Riccardi nelle giornate di inaugurazione della mostra – è far rivivere il passato. I carabinieri per la tutela del patrimonio culturale fanno questo: rendono all’Italia pezzi pregiati della sua storia. L’emozione di vederli in mostra crea un circolo virtuoso: dona un senso al nostro lavoro e ci dà la carica per la prossima indagine.»
«L’interesse di questo progetto – spiegava con lo stesso entusiasmo per l’occasione Andrea Bruciati, direttore delle Villae – deriva dalla possibilità di restituire i reperti al proprio contesto culturale, esaltando la funzione identitaria del patrimonio, reso nuovamente disponibile per la collettività»
A corredo dei reperti archeologici, a Villa d’Este è presente anche un nucleo di opere su tela e supporto fotografico, per la prima volta esposte in una istituzione museale, dall’iconografia rispondente all’idea di paesaggio in età moderna e contemporanea. Si tratta di capolavori provenienti da collezioni private, che spesso hanno affinità con la storia delle Villae, riguardanti nello specifico: Philipp Peter Roos detto Rosa da Tivoli, Francesco Graziani, Francesco Guardi, Guglielmo von Plüschow, Guido van der Werve, oltre a frammenti di quadri importanti della cerchia di Salvator Rosa, Nicolas Poussin, Giovanni Paolo Pannini e Giovanni Fattori, ancora in fase attributiva.
Fra le bellezze ammirate nelle sale di Villa d’Este, le decorazioni parietali forse appartenenti a una antica villa patrizia del I secolo d.C.: una serie di oblò scontornati da una tinta rosso scuro mostrano un esterno assolato occupato in parte da una balaustra di pietra chiara che mette in risalto di volta in volta uva e fichi freschi disposti in piatti d’argento o cestini; pane in forma di ‘rosette’; un mazzo d’asparagi freschi, crostacei ed altri pesci dipinti con grande realismo e diversità di tinte. La teoria di prelibatezze poteva forse adornare una sala per banchetti che vedeva sicuramente passare primizie d’ogni genere destinate ai palati raffinati dei più ricchi tra i ricchi. Altre pitture parietali, magnifiche, in forma di frammenti d’affreschi, probabilmente distaccate da scene più grandi, riproducono paesaggi occupati da templi, torri, rovine in composizioni dal gusto quasi metafisico riconosciuto a maestri della pittura moderna come Giorgio De Chirico. La precisione dei disegni, la loro collocazione prospettica ne fa opere di sapore contemporaneo.
L’atmosfera della riapertura di Villa d’Este è quasi surreale: la gestione, dato il particolare periodo che prevede distanza sociale ed una serie di attenzioni sanitarie, ha provveduto ad un percorso d’entrata da piazza Trento con uscita ad ovest del corpo centrale della Villa, a Piazza Campitelli, in pieno cento storico, percorso che consente di visitare i piani nobili della Villa e tutto il parco ma senza eventualmente intercettare altri gruppi di visitatori poiché la visita è condotta procedendo sempre nella stessa direzione.
Non molti i visitatori visti sabato 30 maggio probabilmente poiché non è ancora possibile spostarsi fra regione e regione. Assenti anche i visitatori stranieri, la villa al momento si gode in un silenzio irreale cullato dal canto dell’acqua che scorre fra quinte argentine, torrentelli miti fra i prati verdi della primavera e zampilli. Ogni forma si apprezza nella sua purezza: la Fontana dell’Ovato col suo cortile deserto dai sedili di pietra sotto la frescura dei grandi platani; il viale de Le cento Fontane, meraviglia d’acque, suoni e lievi capelveneri, conduce alla Fontana di Rometta invasa, invece, dal sole, e aperta sul magnifico paesaggio tiburtino che nella giornata è sotto un cielo attraversato da grandi nuvole bianche. Alle spalle le immense nuvole nere del temporale che arriverà, come previsto, all’ora di pranzo anche se dalla Villa passerà lieve per andare a scaricare la sua forza verso Tivoli bassa e la Tiburtina…..e all’orario del concerto rinascimentale della Fontana dell’Organo le note fastose risuonano nitide fra scalinate, pesci e conchiglie marmorei, statue e mosaici, alberi monumentali e rose profumate, note non coperte stavolta ma accompagnate dalle cascate superbe della Fontana di Nettuno. L’incanto è totale.
Il ritorno ‘a casa’ dei reperti di opere pensate e realizzate per il territorio italiano, la ripresa delle visite dopo il periodo più drammatico per i contagi del covid-19, ha un sorprendente sapore di rinascita. Scrivono i curatori della mostra (il direttore della Villa Andrea Bruciati in collaborazione con Benedetta Adembri e Micaela Angle): «Jules Verne nei suoi romanzi sui mondi perduti ha raccontato come l’ignoto permetta di viaggiare con la mente, immaginando terre sconosciute o fondali inaccessibili. Dischiudere le palpebre serrate di marmo, di pasoliniana memoria (vedi all’ingresso della Villa l’Arianna che seppure di pietra pare dormire un dolce sonno n.d.r.) è l’obiettivo di questa mostra che, non rassegnandosi alla perdita e all’oblio, recupera alla fruizione beni clandestinamente trafugati o più semplicemente destinati al godimento privato. Il patrimonio torna disponibile ad una nuova avventura della conoscenza per la collettività, ricreando quel rapporto fatale fra opera e visione, quel di più della realtà che Alberto Moravia rintracciava nell’opera d’arte». Immagini web
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