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 RIACE, UNA STORIA ITALIANA

 RIACE, UNA STORIA ITALIANA
Settembre 26
18:03 2019

Chiara Sasso, Edizioni Gruppo Abele, 2018, pagg. 192, euro 12,00

 

Davanti al caso di Domenico Lucano, la persona comune  rimane sbigottita. In un Paese marcio di mafia, ’drangheta, camorra, corruzione generalizzata, si individua un presunto pericoloso criminale che mina la stabilità  della sua cittadina e della sua regione: l’ex sindaco di Riace!

In più di 150 anni, l’Italia non è stata capace di dichiarare davvero guerra alla mafia condannando così il Sud, e quindi l’Italia tutta, al sottosviluppo, all’irrilevanza. Infatti, fare guerra alla mafia non porta voti, anzi, li toglie. Invece, additare un nemico, i voti li porta, eccome!  Ben lo sanno i politici che hanno individuato gli ebrei (chiedo scusa, ho sbagliato periodo storico, ma non tecnica psicologica), i migranti, i musulmani, i clandestini, i neri, e chi più ne ha più ne metta, come causa della crisi economica, della mancanza di lavoro, delle difficoltà di qualsiasi tipo. Perché questo porta voti. Essere intellettualmente onesti, uscire dagli slogan, chiedersi, prima di tutto, perché la gente sia obbligata a migrare e a rischiare la vita, invece che lavorare nel proprio paese, con i propri parenti e amici, la propria cultura, le proprie abitudini, sono ragionamenti che non bucano su facebook. Come ha denunciato il prete congolese Padre Battista:  “Il mio paese, il Congo, grazie alle miniere di cobalto permette a tutti voi di avere in tasca funzionante il telefonino. Sono miniere dove bambini di quattro anni ci lavorano, dove lo sfruttamento di società spesso europee è costante.”  I casi di furto di spazi e risorse altrui, specialmente in Africa, di sfruttamento della popolazione, soprattutto donne e bambini, sono tanti altri: diamanti, monoculture, legno, biocarburanti…

Eppure, frasi come quella di Padre Battista, che dovrebbero farci bruciare di indignazione, danno fastidio e non raccolgono affatto le adunanze oceaniche osannanti che siamo, ultimamente, abituati a vedere, simili alle folle  di tutte le dittature. Oggi, però, gli Italiani non sono obbligati, minacciati, da una dittatura: sono  persone che hanno permesso di essere plagiate e ammaestrate. Essi  sperano che, abbattendo il nemico, troveremo  le difficili soluzioni ai gravissimi  problemi che affliggono una popolazione di quasi otto miliardi di esseri umani e persino del povero pianeta che ci sopporta ancora. Abbattiamo, dunque, quel povero nemico che ha sfruttato la “pacchia” nei campi libici e di là è partito con i “taxi del mare”. Scrive Giovanni Maiolo: “Durante il fascismo partivano i vagoni piombati, stracarichi di ebrei,verso i campi tedeschi. Eccetto alcuni casi, il popolo italiano chiudeva gli occhi, fingeva di non vedere, temeva le conseguenze di una protesta. Oggi, i barconi carichi di disperati che affrontano viaggi impossibili per inseguire una speranza di vita vengono fermati in mare dalle motovedette italiane e riconsegnati alla Libia. Quello che accade nelle prigioni e nei campi libici non è molto diverso da quello che accadeva nei campi nazisti. Lì c’era l’organizzazione della morte, in Libia la libertà della tortura. Donne violentate, uomini picchiati selvaggiamente e torturati, a volte ammazzati. Gente che entra nelle carceri e di cui si perdono le tracce. Per sempre.”  Probabilmente, al tempo del Fascismo, molti avevano paura della violenza su di sé e sui propri familiari e, quindi, tacevano. Oggi non è la paura che stimola comportamenti tanto disumani ma l’odio e, in particolare, l’odio razziale.

Riace, dice Lucano, “era un piccolo paese che si stava spopolando per via dell’emigrazione al Nord e all’estero.” Chi di noi non conosce paesi e territori, un tempo agricoli, animati, vivi, che oggi sono completamente abbandonati? La gente se n’è andata in città e ha dimenticato fattorie, casolari, terreni …

A Riace erano state riaperte le botteghe del vetro, del ricamo, della ceramica, della tessitura, della cioccolata, degli aquiloni, in un progetto di accoglienza ma anche di integrazione, di apprendistato, di lavoro. Sarebbe certo utile al nostro Stato se, nello stesso modo, si ridesse vita alla campagna spopolata, alle montagne svuotate, producendo cibo per noi, rendendo di nuovo fertile la terra. Certo, non sarebbe facile. Bisognerebbe prevedere  qualcuno che progetta, che insegna, che decide…  Molto più facile è lasciar ciondolare la gente per strada, senza futuro per sé e neppure per il nostro Paese perché qui, se qualcuno fa qualcosa, diventa  un ostacolo da abbattere.

Non importa se  la ’ndrangheta, ha un volume di affari intorno ai 36 miliardi di euro. Tutto normale.

Non così normale  Riace. “Troppe cose strane in questo paese con 600 migranti integrati. La raccolta differenziata fatta con asini e una cooperativa gestita da migranti e riacesi come le botteghe che recuperano tradizioni e antichi mestieri. Un nuovo asilo appena inaugurato. Ma non è tutto, si lavora per l’acqua pubblica.”

Alle volte, si vorrebbe scappare via da questo mondo tanto infame, da questo Paese dove il tuo vicino ti odia, dove un bambino di tre anni è stato preso a calci perché marocchino.

Alle volte, non si sa proprio cosa fare, come continuare a vivere.

L’unica speranza è che ci siano sempre più  Domenico Lucano dappertutto, che abbiano l’eroismo di pagare di persona, di fare politica quando la politica è pensare al bene dell’umanità tutta. Perché non debba essere ancora una guerra mondiale a sedare l’odio ma sia l’amore e l’impegno l’unica ragione per continuare a vivere.

 

 

 

 

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