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Non c’è più niente: salmone, aragoste, merluzzi, pesce bianco, tutto finito, proprio tutto lungo le coste nord orientali dell’Inghilterra. “Le sardine scarseggiano da dodici anni”, ci dice Alan dai sette mari, dove è capitano di un peschereccio di 250 tonnellate. “ In Perù il pesce abbondava tutto l’anno, oggi siamo senza lavoro e ci dobbiamo spingere fino a 300 km dalla costa per trovare qualcosa, prima bastava arrivare ad un massimo di 25 km”!

Manuel dalla Galizia conferma: “Faccio il pescatore da più di vent’anni ed ho visto pian piano esaurire le risorse dei mari, sottraiamo al mare più di quanto riesca a produrre”. Il 70% delle riserve mondiali di pesce è stato sfruttato ed esaurito da molti paesi ricchi, che hanno depauperato le risorse delle loro zone di pesca e si preparano alla ricerca di più lontani mari da sfruttare. Lungo le coste dell’Africa ci sono alcune delle zone più pescose al mondo, dove molti governi non possono fare a meno però di concedere i permessi per la pesca, essendo questa, una delle principali fonti di valuta straniera da destinare alle proprie casse. Il caso dei Grandi Banchi di Terranova, scoperti dal navigatore Giovanni Caboto nel 1498 al largo delle coste del Canada, diede inizio ad una sorta di corsa all’oro, rappresentando nel presente l’allarmante crisi globale dell’industria ittica. Centinaia di pescatori si avventurarono nell’Atlantico alla volta dei Grandi Banchi, nessun europeo aveva mai visto acque così ricche di merluzzi, tanto rinomato per le sue carni bianche quasi prive di grassi, fonte principale di proteine animali, ed il più apprezzato ancor oggi sul mercato mondiale. Nei secoli successivi la pesca si fece più cospicua quando i pescatori impararono ad usare le reti a strascico ed i palamiti forniti di migliaia d’ami. L’introduzione in seguito della pesca industriale con navi a vapore, fece crescere la richiesta di merluzzo soprattutto dopo il 1925, quando Clarence Birdseye inventò la tecnica del surgelamento per il pesce, favorendo così l’utilizzo di pescherecci a strascico alimentati con carburante diesel che potevano portare a terra maggior quantità di pesce. Tutti così intuirono il potenziale economico in ballo e presto centinaia d’imbarcazioni simili setacciavano il mare, arrivando a pescare fino a 200 tonnellate di pesce l’ora. Gli scienziati avvertirono che le popolazioni di merluzzi erano a rischio, informando che in trent’anni la specie era diminuita in modo sconvolgente del 98% e la pesca del merluzzo nei Grandi Banchi fu obbligatoriamente vietata. Ormai era tardi però, 500 anni dopo la sua scoperta, una delle zone più pescose al mondo era stata privata della sua ricchezza. A livello oceanico si riesce solo a pescare su barche attrezzate con sofisticati apparati di ricerca a scandaglio…invece di approfondire tematiche, se non ecologiche, almeno in linea con studi di ecocompatibilità o di conoscenze etologiche delle specie, rispettando i vari cicli biologici, fermi per ripopolamento. Attualmente, la pesca commerciale richiede ingenti investimenti per sopravvivere e acquistare le attrezzature necessarie, quindi ogni pescatore per poter continuare il proprio lavoro spera che siano gli altri ad interrompere il loro, con il risultato che nessuno si ritira. Oltre tutto alcuni governi sono tra i maggiori investitori, il che li rende esitanti e parte del problema nel prendere decisioni che molte persone non gradirebbero. La pesca sportiva allo stesso modo ha le sue responsabilità, dato il sovrasfruttamento del 64% della pesca di specie lungo il Golfo del Messico. Ciò dimostra come non ci sia nulla in particolare che possa salvare le specie marine, al di fuori di un cambiamento radicale nell’atteggiamento dell’uomo!