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Renzo Giovampietro e gli ebrei a Velletri

Renzo Giovampietro e gli ebrei a Velletri
Maggio 10
14:26 2014

rosone-ebreo-wIn una conversazione con Renzo Giovampietro, nel 2002, l’attore e regista mi espresse tutta la sua delusione nei confronti del mondo della comunicazione.
Dopo la sua parte nel cast di Domani, di Francesca Archibugi (2001), era stato contattato per lo spot pubblicitario di una marca di caramelle. Lui aveva rifiutato, carico della sua dignità di artista guadagnata sul campo, sia sul palcoscenico che davanti alla macchina da presa che alla radio; la sua voce, inconfondibile e versatile, sapeva bucare la membrana dell’apparecchi radiofonico.
Il suo essere nato (nel 1924), cresciuto e pasciuto a Velletri gli era rimasto nel sangue.

Sapeva bene che il vino rosso di “Sole e Luna” era tra i migliori e ricordava a memoria poesie dialettali come “A Precissione” di G.B. Jachini, della quale mi declamò i versi che sottolineavano l’inadeguatezza delle stradine di Velletri per le dimensioni degli enormi stendardi. E mi ricordò la sua presenza (aveva otto anni) all’inaugurazione di Littoria, il 18 dicembre 1932, in una filodrammatica veliterna. Ma lui nell’arte drammatica non s’era gettato anima e corpo. All’inizio era una passione da hobby e si diplomò in ragioneria per impiegarsi in banca. Frequentò e si diplomò all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, poi il teatro, Radio Rai, la Compagnia di Prosa della Radio Italiana, le commedie e i radiodrammi; quindi Luchino Visconti nel 1945, Giorgio Strehler a Milano l’anno dopo… Mi raccontò della sua amicizia con lo scrittore Borges, gloria nazionale argentina, che andava alle sue rappresentazioni teatrali nelle sue tournées a Buenos Aires. Ma a un certo punto la nostra conversazione tornò su Velletri, tramite le sue origini legate ad antenati mastri muratori. Parlammo dei Borgia locali, non di quelli velenosi di Spagna, e lui m’illuminò con una riflessione sugli ebrei che, nell’abitato di Velletri, avevano occupato quel triangolo isoscele del centro storico che, con una base ideale rivolta a nord e sottostante il Palazzo Comunale, ebbe come cateti il Corso e Via Borgia. Le sue placide domande retoriche furono le acque di un ruscello gorgogliante in primavera: «Perché, credi forse che i Borgia non fossero essi stessi ebrei, in origine, trasferitisi a Velletri da chissà dove e qui in seguito diventati ferventi cattolici? Guarda dov’era costruito, Palazzo Borgia, e l’ex sinagoga, diventata cappella di famiglia dei Borgia di Velletri!»
Renzo ricordava al millimetro ogni strada, contrada, vicolo della sua città natale: era tutto tatuato nitidamente nella sua memoria. Eccola lì, via della Stamperia, che inizia lungo l’unica parete intatta dell’ex sinagoga ebraica, bandolo di una matassa ideale che si ramifica nei vicoli tutti in salita di quello che fu il quartiere ebraico di Velletri; e Vicolo del Serpe, chiamato Via della Sinagoga fino al XVI secolo in quanto adiacente all’edificio di culto ma dal 1555 (anno dell’istituzione dei ghetti da parte di Paolo IV) in poi deformato nel toponimo tuttora vigente, che esprime il massimo disprezzo dei cattolici nei confronti dei giudei. IIl lucernario marmoreo in stile gotico (vedi foto), unica traccia dell’antica sinagoga di Velletri realizzata nello stesso stile murario della Torre del Trivio (1353), dell’abside della cattedrale e della chiesa (e campanile) di S. Antonio Abate, non è altro che la stilizzazione della stella di David. La damnatio memoriae della presenza ebraica a Velletri avrebbe lasciato un’altra traccia in un toponimo locale: Via del Fontanaccio ricorda il fontanile “for de porta”, situato a sud est di Porta Napoletana e riservato alle donne giudee.
Ho visto l’ultima volta Renzo Giovampietro a Velletri nel 2005, in occasione della sua iscrizione all’albo d’oro della sua città natale e un anno prima della sua scomparsa. Ricordo la sua domanda con una vitalità da adolescente al sinologo Roberto Ciarla, anche lui tra i premiati: «Vieni a trovarmi: voglio saperne di più sulla Grande Muraglia».

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