IL POTENZIALE E LE VULNERABILITA’ DEI GIOVANI ITALIANI
Uno dei capitoli del Rapporto annuale dell’Istat, fondamentale pubblicazione scaricabile gratuitamente dal sito istituzionale di cui si consiglia la lettura, tratta del problema dei giovani.
Nel Rapporto si afferma che il futuro dell’Italia non potrà prescindere da una piena valorizzazione delle energie e del potenziale espresso dai nostri giovani, e da una riduzione di quelle “vulnerabilità” che ne impediscono la partecipazione attiva alla vita economica e sociale.
Negli ultimi decenni le dinamiche demografiche, il posticipo delle tappe del ciclo di vita, la diffusione della precarietà e frammentarietà dei percorsi lavorativi, i livelli ridotti di mobilità sociale, la precarietà, hanno contribuito a compromettere le possibilità di realizzazione delle opportunità e le aspirazioni di una larga parte di giovani e a scoraggiarne la partecipazione attiva, politica, sociale, e culturale.
Gli investimenti pubblici maggiormente rivolti alle fasce di età più giovani mostrano uno strutturale ritardo rispetto agli altri paesi europei per quanto riguarda la spesa pubblica per istruzione, le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori, agli asili nido, all’edilizia scolastica.
In Italia, il meccanismo di trasmissione tra padri e figli della povertà è più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea: quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni a rischio di povertà quando aveva 14 anni, viveva infatti in famiglie che versavano in una cattiva condizione economica: si è rallentato l’ascensore sociale (chi nasce povero, povero rimane).
Oggi, un ampio segmento dei giovani tra i 18 e 34 anni si trova in condizioni di deprivazione, concetto misurato statisticamente rilevando cinque dimensioni: Istruzione e Lavoro, dove si valuta la partecipazione al mercato del lavoro e a percorsi educativi; Coesione sociale, dove si tiene conto della partecipazione sociale e politica e della fiducia nelle istituzioni; Salute, in cui si considerano la salute fisica e mentale e gli stili di vita; Benessere soggettivo, nel quale si valutano diversi aspetti della soddisfazione personale; Territorio, nel quale rientrano la soddisfazione per il contesto paesaggistico e ambientale in cui si vive e la difficoltà a raggiungere i servizi essenziali.
Nel 2022, quasi un giovane su due mostrava almeno un segnale di deprivazione in una delle cinque dimensioni considerate rilevanti e più di 1,6 milioni di giovani (cioè il 15,5 per cento dei 18-34enni) mostrano segnali di deprivazione in almeno due domini.
Per la maggioranza dei giovani, il raggiungimento delle tappe dell’affermazione individuale e sociale è sempre più un percorso a ostacoli e negli ultimi decenni si è assistito a un loro costante posticipo, situazione peggiorata per effetto della pandemia.
Per mettere le nuove generazioni in grado di affrontare positivamente i cambiamenti in atto, e per prevenire l’insorgere di situazioni di vulnerabilità come quelle descritte sopra, è necessario garantire a tutti bambini fin dalla nascita livelli di benessere che consentano un adeguato livello di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e relazionale. Questo obiettivo va perseguito incidendo sui contesti di vita dei bambini e sulle opportunità educative, formative, culturali e di socializzazione a cui sono esposti. Inoltre, è fondamentale che queste opportunità siano caratterizzate da equità di accesso, riducendo per quanto possibile, l’influenza dell’ambiente – non solo familiare – di appartenenza.
Investendo sul benessere delle nuove generazioni, si può fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato dalla loro maggiore valorizzazione. Il gigantesco finanziamento europeo di 200 miliardi di euro del PNRR è l’ultima occasione per dare una soluzione a questi antichi e irrisolti problemi – e le difficoltà di realizzarne i progetti nei tempi e nei modi previsti dall’Europa non sono poche.
Per uscire dalla crisi dovrebbero supportare investimenti che accompagnino e rafforzino il benessere dei giovani nelle diverse fasi dei percorsi di vita, intervenendo fin dai primi anni di vita.
L’attuale governo, come d’altra parte quelli che lo hanno preceduto, non sta affrontando con la dovuta determinazione il problema delle generazioni future e dei giovani, compromettendo il proprio avvenire: chi si farà carico nei prossimi decenni di una popolazione invecchiata – che passerà dagli attuali 59 milioni a 54 milioni di abitanti nel 2050 – se non si metteranno in campo decise politiche volte a consentire ai giovani di essere “felici”, realizzati e produttivi?
La politica dei nostri governanti guarda all’oggi, tira a campare, gioca di rimessa, mentre c’è un disperato bisogno di guardare al futuro e affrontarne le sfide. D’altronde siamo il paese del falso dilemma di Giulio Andreotti che affermò “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”
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