Ragionamenti finali sulla COP 27. Tramontati gli 1,5 °C?
La COP 27 doveva procedere all’attuazione dell’Accordo di Parigi. Tuttavia due cose hanno complicato l’adempimento di questo compito: il 2022 è stato un anno di crisi verticale, con i prezzi di energia e cibo in aumento, impatti prolungati della pandemia di Covid-19, rallentamenti economici e, non ultime, le tensioni geopolitiche. Le prospettive di riduzione delle emissioni e l’esborso dei necessari finanziamenti per gli 1,5 °C di riscaldamento globale, l’obiettivo centrale della lotta climatica, si sono terribilmente complicate. Peggio ancora, le idee dei vari paesi sull’attuazione dell’Accordo di Parigi si sono diversificate e forse confuse.
Nella plenaria di chiusura le parti hanno finalmente convenuto l’istituzione di un fondo dedicato alle perdite e danni. Nell’Agenda c’era la pressante richiesta dei paesi poveri per stabilire uno strumento di finanziamento per le perdite e i danni, anche perché l’incapacità dei paesi sviluppati di mantenere il loro impegno finanziario di 100 miliardi di dollari per il clima, deliberato a Copenaghen nel 2009, aveva continuato a scavare la fossa della sfiducia tra Sud e Nord del mondo. La questione delle perdite e danni ha acquisito visibilità e consensi crescenti solo negli ultimi anni, con i disastri climatici che hanno provocato il caos in tutto il mondo. Le perdite e danni, che colpiscono i paesi e le comunità più vulnerabili, sono state una priorità per lo sviluppo delle piccole isole fin dagli anni ’90. I paesi ricchi hanno tradizionalmente resistito alle richieste di finanziamenti specifici per perdite e danni, in parte per paura delle relative responsabilità e delle richieste di risarcimento a loro carico per essere stati causa della maggior parte delle emissioni storiche. A Parigi nel 2015 vennero esclusi questo tipo di responsabilità e i relativi compensi. Alla COP 27, questo avvertimento, contro l’interpretazione di qualsiasi finanziamento come responsabilità o compensazione, è stato accuratamente richiamato come nota a piè di pagina in tutti i testi. Ma la vera svolta è merito dell’Europa che, rompendo il fronte dei “ricchi” ha dato il via libera all’accordo per istituire il fondo e un comitato di transizione incaricato di elaborare opportunità e lacune in modo che esso possa essere reso operativo alla COP 28 nel 2023. Alla fine la formula trovata recita “per assistere i paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabile agli effetti negativi del cambiamento climatico”, ma senza specificare quali sarebbero questi paesi. La decisione non identifica chi finanzierebbe, ma semplicemente raccomanda l’allargamento delle fonti di finanziamento.
Proprio per essere sul suolo africano, molti si aspettavano che la COP 27 avrebbe avuto come tema centrale l’adattamento, la priorità per il continente, l’azione per prevenire gli impatti del clima in cambiamento. L’adattamento è un obiettivo ambizioso, fissato nell’Accordo di Parigi, che i negoziatori hanno affrontato con discussioni durate fino alle ultime ore della COP 27. L’unico risultato tangibile sull’adattamento è stata la decisione di iniziare lo sviluppo di un quadro programmatico da adottare il prossimo anno. Le esigenze di adattamento possono essere molto locali e qualitative, e rendono difficile la formulazione di provvedimenti aggregati in un obiettivo globale. Sono inoltre costose. Il tracciamento dei pagamenti dei paesi sviluppati della loro quota dei 100 miliardi di dollari dovuta entro il 2020 mostra (OECD) che due anni dopo la scadenza non si è andati oltre il 17% né oltre l’impegno preso a Glasgow di raddoppiare entro il 2025 i finanziamenti per l’adattamento. Allo stesso tempo, i paesi sviluppati vorrebbero espandere il pool di contributori ai finanziamenti per il clima estendendolo al settore privato, alla filantropia, alle fonti di beneficenza, alle banche di sviluppo, alle assicurazioni e persino ad alcuni paesi in via di sviluppo, Cina in primis. L’Adaptation Fund ha conseguito 230 milioni di dollari di nuovi impegni e promesse iniziali per il nuovo Global Shield, un regime assicurativo proposto dall’Europa contro i rischi climatici, che ha totalizzato appena 210 milioni di euro.
Adattamento e perdite e danni sono misure difensive che non rimuovono le cause della crisi climatica. A Sharm il percorso principale verso la decarbonizzazione non è andato avanti, tanto che alcuni temono che questa potrebbe essere stata la COP del tramonto degli 1,5 °C. Con il regolamento dell’Accordo di Parigi completato e gli obiettivi di emissione definitivamente stabiliti a Glasgow nel 2021, la COP 27 avrebbe dovuto concentrarsi sull’attuazione dell’Accordo. Durante la plenaria di chiusura, molti gruppi e paesi hanno sottolineato che i testi non sono andati oltre Glasgow nel dimostrare maggiore ambizione e che a loro avviso avrebbero dovuto includere riferimenti al picco delle emissioni globali entro il 2025. Si richiedeva di decidere la graduale riduzione (phase down) di tutti i combustibili fossili, non solo del carbone, come proposto proprio dall’India che, l’anno scorso aveva rischiato di mandare a monte la COP 26 proprio su questo punto. Parimenti avrebbero dovuto essere eliminati a termine gli incentivi ai fossili che invece saranno solo “razionalizzati”. La presidenza egiziana (ça va sans dire) ha fatto muro su entrambi i punti. Pochi i nuovi impegni di abbattimento delle emissioni e pochi gli impegni nazionali (NDC) aggiornati. Così a fine secolo il riscaldamento sfiorerà i 3 °C.
Formalmente gli 1,5 °C rimangono in vita. I riferimenti alla scienza e all’urgenza sono presenti nel documento finale, ma alcuni paesi in via di sviluppo hanno ribadito che l’articolo avrebbe dovuto introdurre nuovi elementi rispetto al mandato di Parigi. Allo stesso modo, c’è stato un invito a riflettere sulle nuove indicazioni dell’IPCC sulla necessità che il picco delle emissioni globali avvenga prima del 2025 per limitare il riscaldamento a 1,5 °C.
A conti fatti, i risultati della COP 27 hanno consegnato una vittoria importante per coloro che già subiscono i devastanti impatti del cambiamento climatico. Ma molto di più deve essere fatto. Come ha detto il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, “La COP 27 conclude con molto da fare e poco tempo a disposizione”.
Quale ruolo si è preso il nuovo governo italiano? Sul tavolo c’erano le questioni Regeni e Zaki. Si capirà che per chi è andato in Africa ad elemosinare del gas naturale, atteggiamento di cui sono stati accusati dalla stampa e dagli attivisti africani Germania ed Italia prima di tutti, i diritti civili sono carta straccia. Il tutto in una COP che dal punto di vista delle libertà civili si può ben definire “ignobile”. Attivisti fermati, arrestati, impediti di muoversi, privati dei pass per il negoziato, spediti nel deserto per tenere i loro cortei, le manifestazioni e le riunioni. Emblema dell’opposizione al regime egiziano, il giornalista Abd el-Fattah, è rimasto in carcere senza che alcun governo abbia posto delle pregiudiziali sulla sua liberazione. Sembra incredibile, ma l’anno prossimo la COP 28 andrà in Arabia Saudita, il nemico giurato della lotta ai cambiamenti climatici, per tacere dei metodi che costoro usano contro gli oppositori, le donne e le minoranze.
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