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“Questa terra che bestemmia amore”

Novembre 11
13:30 2009

Mentre scorrevano le preziose, antiche immagini fotografiche raccolte da Tarquinio Minotti, nella penombra della sala del Tinello Borghese a Monte Compatri, un suggestivo sottofondo musicale ne sottolineava l’interessante, commovente sequenza.
Con la poesia la mente vola a ritroso: fermi istanti che abbracciano il vissuto di chi ha attraversato la drammaticità delle due guerre mondiali, pagando tributi di sangue e rinunce. Sono attimi di vita quotidiana, gocce di esperienze del passato cristallizzate su uno schermo, sguardi di un’umanità che travalica lo spazio e il tempo, imprigionati per sempre nei versi di un canto che li innalza e li rende immortali. Liriche ispirate a chi, nonostante un percorso inarrestabile di dolore e sofferenza, come quello vissuto dalle generazioni del secolo scorso, non rinuncia a esistere e ad avere fiducia; a chi lotta per sopravvivere con ogni sforzo, con la fede in un futuro che spinge a dimenticare la tragicità del presente e a sognare, credere, vivere un progresso sempre più inarrestabile, anche se talvolta non appagante e risolutivo. È questo il percorso poetico che la Lanciotti indica ai lettori nella sua recente opera: “Questa terra che bestemmia amore” della Edilet- Edilazio Letteraria.
Le voci di Roberto Pennacchini e Antonella Fede, tra un intermezzo musicale e l’altro di Marco Ferraguto al flauto e di Andrea Centra alla tastiera, in una magistrale sequenza predisposta da Valeriano Bottini dell’associazione Colle Ionci, hanno trasferito ai presenti scosse di forte intensità emotiva, leggendo a più riprese le poesie del libro. Introdotto dal Direttore di Controluce Armando Guidoni, presentato da Marco Onofrio Direttore della Edilazio letteraria, il piccolo libro (“venti, trenta grammi di peso” ha osservato la Lanciotti) sprigiona in ogni verso momenti che trascendono l’individualità particolare dell’immagine fotografica e portano invece all’Universalità dell’Uomo. Un uomo che è sempre meno consapevole della propria transitorietà nella vita su questa Terra, verso la quale non riesce a manifestare amore, gratitudine e soprattutto rispetto; questo accade pure nei confronti di se stesso, come osserva Marco Onofrio quando afferma che la specie umana è l’unica tra i viventi che si spinga al suicidio. Versi scarni, essenziali, carichi di emozioni provate, di ricordi suscitati, di riflessioni stimolate e la storia si fa, si snoda, delinea le coordinate del tempo che passa. “Bestemmia amore la terra, impasto di ossa e dolore” scrive la Lanciotti quasi al termine del suo volumetto…, ma la tenerezza, la considerazione per il lettore e la fede nell’Essere umano la portano a una conclusione di speranza che nello stesso tempo è una risoluzione del contrastante “Bestemmia amore”: “In ogni punto della Terra” si ode e vola il vagito di un Uomo che da se stesso nasce, risorge e spegne per sempre la violenza in una conquistata concretezza, quella della “vera” Umanità.

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