Quella volta in cui un giorno li rese immortali
Si svegliava al mattino stanco del precedente ozïoso giorno, afflitto per il nuovo giorno apparecchiatogli davanti da un destino ineluttabile, a cui si era tempo prima rassegnato; si svegliava ed iniziava a vivere senza alcuna voglia di farlo.
E tornava a dormire, perso nella dolce e chiara notte. L’unica vera consolazione ai suoi tristi giorni, la notte, dalla quale non avrebbe mai desiderato separarsi, così attaccato a quella specie di morte breve, così voglioso di restarci per sempre.
E perché non ci rimanesti, ti domando! Forse perché v’era sempre quel vincolo di dovere e sconfitta che veniva a ridestarti perentoriamente fin sotto la terra, sradicandoti dalla tomba che assai dolcemente ti cullava e dalla quale assai finemente lasciavi cullarti, oh prematur morto! Hai sempre avuto occhi tristi e vuoti, tu, come vuoto l’animo e l’intelletto..
Si svegliava morto, insomma..
Ogni dannatissima giornata la iniziava col giornale sotto il naso, preoccupato di affari non proprii, interessato a faccende delle quali comprendeva ben poco, e male; e così si avviava soddisfatto, quasi un rito, al suo vile sgabuzzino, a depositare accuratamente la vestaglia, talmente monotona era la sua esistenza da doversi prender cura degli indumenti notturni appena sveglio, neanche fossero una donna da soddisfare o affari, affari veri.
Mangiava in maniera sbagliata, sempre, fin dalla colazione: quello che trovava, porcherìe comprate a caso il giorno prima, sia a colazione che poi, considerando che spesso saltava il pranzo per abbuffarsi, giustamente, a cena e per, prima ancora, compiacersi nel godere a piccoli morsi, quasi fosse un intenditore, di paste ripiene oppure cornetti o giù di lì, sorseggiando birra, o altri alcolici..
Due vestiti mal abbinati indosso subito dopo un lavaggio denti giusto per farlo, un po’ di deodorante spray sotto le ascelle, e usciva con calma dalla porta di casa per avviarsi in anticipo al luogo modesto in cui lavorava, palesemente sottopagato rispetto alla grande mole di incarichi da svolgere e alla durata delle singole giornate lavorative.
Staccava la sera e, di nuovo afflitto e vinto da una vita da cui si lasciava ben manipolare, tornato alla dimora, cenava, guardava un’oretta di televisione e si dedicava con cura alla sistemazione nel letto, luogo tra i più amati della sua buia esistenza.
Di donne neanche l’ombra. Di sport, tracce. Di interessi o passioni soltanto videogames ed internet. Aveva una lieve miopìa, portava gli occhiali. Aveva una piccola stupida comitiva con cui dilettarsi qualche oretta il sabato sera, se non v’erano partite calcistiche interessanti.
E la domenica? Perché la domenica, almeno, non la dedicavi a vivere? Perché non ti dedicavi all’arte, alla cultura, allo sport? Esisteva soltanto il pranzo esageratamente abbondante con i parenti e, ancora, il campionato di calcio in televisione..
Non ti rendevi conto dell’inettitudine che ti avvinghiava giorno dopo giorno arrampicandosi su te come edera su un muro logoro, antico..?
E tu eri antico, eri rude, rozzo, col tuo dialetto, e sembravi un pastore, o un popolano rustico dei secoli precedenti, o qualche altro tipo di zappaterra da collina, ignorante, saputone, ingenuo e tirchio..
L’unica cosa utile che fece, in vita, fu scrivere queste pagine sparse che ora riporterò, in cui narrava di un’unica, ambigua giornata che potremmo chiamare “la giornata della sua vita”, poiché fu l’unica cosa eclatante che visse, e in cui riuscì forse a toccare una donna..
“Oggi mi è successa una cosa troppo forte, non ci posso credere! Non mi piace scrivere, non lo faccio mai, però stavolta ci proverò per raccontarvi l’avventura che mi è successa..
Scusate per gli errori, se mi scappano.
Allora: di solito faccio tutti i giorni le stesse cose, monotone, ma mi piacciono. Però un giorno, dopo che ho discusso con un mio amico, mi ha congedato dicendomi di dover vivere, non esistere!
Allora ci ho pensato, e ho deciso la sera che il giorno dopo, di domenica, dovevo provarci a fare qualcosa di particolare.
Mi piaceva passeggiare. Allora ho deciso che passeggiavo tutto il giorno per le strade di Roma dove non vado spesso di solito, allora potevo provare qualche emozione nuova, stancarmi e divertirmi pure, rinunciando solo un giorno alla solita vita.
E poi quella domenica manco giocavano!”
E così inizia la particolarissima “avventura” del più banale tra i banali della classe medio-piccola della società moderna.
“Mi sono svegliato, vestito e sono sceso subito di casa, soltanto con l’iPod e le chiavi di casa in tasca, e forse qualche spiccio.. Ho fatto colazione al bar, con cornetto e cappuccino (infatti sono scappato su casa in bagno, maledetto cappuccino! Sempre la stessa storia). Poi ho fatto il solito giro del quartiere, salutando tutti quanti: il garasgista, il barbiere, il parroco, eccedera. E mi sono deciso di andarmene verso il centro, a pedagna..
Abito in un quartiere parecchio incasinato di Roma, e infatti sono partito da lì, e mi sono messo in marcia sulla Casilina, con prima destinazione il Verano; passavo a dare un saluto ai nonni..
La prima cosa strana che vidi sulla Casilina, all’altezza del Ponte, fu una tigre.
Sì, una tigre in città! Mi sono spaventato un attimo quando l’ho vista in lontananza, ma mi sono tranquillizzato subbito perché due tipi la tenevano di mira con i fucili..
Comunque mi avvicinai, e ho potuto vedere tutto in meglio modo..”
C’è una macchia di caffè che sigilla la frase.
“La tigre si muoveva suinosamente da una parte all’altra del marciapiede, e le macchine rallentavano per guardarla, o si fermavano proprio. Ma io non mi immischiai di più, e così me ne sono andato via per la mia strada..
E ho fatto bene, mi sa!”
Ci sono due tipi di persone al mondo: gli uomini, quelli che ragionano, provano intense emozioni, sognano, vivono; e gli esseri umani, quelli che puntano a mangiare, tirare avanti, dormire, fare i proprii bisogni, salvaguardarsi la pellaccia.
Egli rappresentava un semplice essere umano, di quelli veraci..
Un uomo trascrisse altrove, invece, in una pagina di giornale, essendo stato tra i presenti, fratello di un uno dei due coraggiosi zoologi alle calcagna dell’animale, passo per passo, ciò che accadde quel giorno. E qui riporterò il quanto:
“Correva l’anno Duemilaeundici.
La tigre bengalese Tahmar era scattata fuori dalla gabbia incautamente lasciata semiaperta. Aveva corso per un buon tratto della città di Roma, trasferendosi in breve tempo dalla zona del parco zoologico ai pressi del Casilino e lasciandosi dietro gli impreparati guardiani dello zoo. Mio fratello Alan e il collega Murrari erano stati avvisati e prontamente si erano recati sul luogo dell’ultimo avvistamento. Io mi ero improvvisato loro autista.
Vedemmo un mucchio di gente spostarsi massivamente in senso opposto al nostro andare: era lì, la tigre. Scesero dalla macchina, i due esperti, e con i fucili carichi di potenti sedativi presero di mira la bestia. Ruggì. Ruggì più volte. La chiusero. Un ragazzino, stolto, si avvicinò a Tahmar; non fu aggredito. Si pose a difesa della belva. Erano passate tre ore..
Non riesco a scrivere ciò che accadde quel pomeriggio, dopo sei ore, o sette, circa. Finì tragicamente, e lo si sa, ne hanno parlato ovunque. Non sappiamo perché l’animale non abbia aggredito il ragazzo, né perché sia rimasto tanto tempo fermo, a ruggire, a fissare i suoi nemici, mio fratello e il Murrari. Sappiamo soltanto quel che successe quando mio fratello si fece avanti per prendere il ragazzo..
Murrari credeva che la tigre stesse per aggredire il giovane indiano. Forse era così; forse voleva solo leccarlo. Odorava di carne alla brace. Forse aveva mangiato da poco. Quelle bestie impazziscono davanti a odori del genere. Ma era ben addestrata; forse non voleva attaccare, ne era solo attratta. Forse […]”
L’articolo si dilunga troppo ed inizia a trattare di altri temi, più generici. Più o meno tutti sappiamo come finì quella vicenda.
Torniamo a noi, ad ogni modo..
“Nemmeno mi volevo guardare in dietro..
In un quattreqquattrotto sono arrivato a Porta Maggiore. C’era una spece di mercatino, e allora c’ho fatto un giro. Pareva quasi via Sagno, però più piccolo! I venditori mi importunarono molto, ma io non volevo comprare niente. Volevo solo dare un’occhiata. Ma quando ho visto quel banchetto di giochi usati, e i prezzi bassi, mi sono dovuto fermare, e infatti poi mi comprai Assassins Creed! Troppo bello quel gioco! Eppure era strano che non avevo mai visto prima un mercato così vistoso in una piazza come quella, dove passavo spesso.. Forse perché di domenica non mi prendeva quasi mai di uscire..
Boh! Vabbé, mi sono messo il gioco nel borsellino e sono proseguito dentro via dello Scalo di SanLorenzo, e lì mi è successa una brutta cosa, e per poco non mi beccavo un infarto!”
Un mercato a Piazza di Porta Maggiore? Mai visto…
La notizia non è stata largamente diffusa. Dico soltanto, per ora, a chi non lo sappia, che in effetti era cosa, quella, più che strana: era un mercato di stampo medio-orientale, con mercanti medio-orientali, dove si smerciava roba d’ogni sorta, oggetti che, bene o male, riuscivano ad attrarre un buon numero di gente; ad esempio, appunto, si vendevano videogames a prezzi stracciati, giacche, collane, utensili, borse..
Ritorneremo su questo tema più avanti, quando sarà richiesto. Per ora continuiamo a leggere ciò che ha voluto narrare il nostro protagonista.
“Io di solito non passeggio con la testa tra le nuvole. Provo a stare attento e a tenermi all’erta coi sensi, di solito. Ma quella volta stavo pensando al mio nuovo acquisto e… giuro su Dio che mi sono visto sfrecciare a un pelo dalla faccia un proiettile, e ho sentito il boato di uno sparo che era partito da destra!
Non ho mai urlato così tanto dallo spavento, e giuro che nessuna cosa mi ha mai fatto tremare così tanto. Mi sono pietrificato, immobilizzato. Una statua. E mi sono passati davanti certi tipi, proprio come il proiettile, che si sono buttati dietro la sfilza di automobili parcheggiate a vanvera sul bordo sinistro della strada, dove si volevano proteggere dalle pistole della polizia. Sirene, megafoni, urla e spari.
Il finimondo in un attimo!
Allora mi ripresi e andai di corsa avanti, velocissimamente, senza guardarmi alle spalle.
La sera a casa, ho visto al telegiornale che c’era stata una retata a un gruppo di malavitosi di TorBellaMonaca..
Ma tanto poi ne riparlerò dopo, perché a ritorno ho visto i resti della sparatoria. Comunque dopo mi sono fermato a un bar una mezzoretta su Piazza del Verano per riprendermi dal colpo. E poi sono entrato nel cimitero”
L’andamento della scrittura, che era diventato gradualmente agitato, frenetico ed emotivamente alterato, ritorna ora ad avere un’adagiata linearità.
Mi sono permesso di aggiungere alcune correzioni nell’atto di trascrivere la sezione appena riportata: punteggiatura ed aggiunta di talune parole involontariamente omesse dallo scrivente.
Per quanto riguarda il fatto narrato, otterremo ulteriori chiarimenti dallo scrivente stesso, più tardi, e mi permetterò in seguito di riportare una parte tratta dalla registrazione dello stesso servizio televisivo a cui egli ha attinto, la sera medesima dell’accaduto.
“Nonna era morta cinque anni prima di mio nonno, che ho perso da neppure un anno.. Gli volevo bene, a tutt’e due e mi mancavano tantissimo. Ero contento di andarli a trovare quella domenica. Ma non ero contento di quello che mi era successo dopo! Ho passato quasi un’ora davanti le loro tombe, dalle undici più o meno a mezzogiorno.. E mentre me ne stavo per andar via ho sentito un forte rumore dietro, che rimbombava”
Evidentemente il rumore doveva esser stato pesante e grave, e doveva aver generato una rete d’eco espandentesi per un vasto raggio attraverso giochi di rimbalzi tra le lapidi, e attraverso la velocità di propagazione nel terreno.
“Sembrava tipo qualcosa che cascava, una pietra grossa o un marmo, ma però era una cosa che, lettore ti giuro!, mi fece scappare a gambe levate.
Quando mi sono girato ho visto una mano spuntare da sotto terra a poco più di dueciento metri da me!
Il rumore era il coperchio della bara che aveva sollevato! Poi ho visto in meno di cinque secondi uscire fuori questa sagoma storta che aveva in mano una falce, e poi mi ha guardato, ma io nemmeno ho fatto in tempo a guardarlo in faccia che mi sono girato e ho iniziato a correre fuori dal cimitero.
E non si sa quanto ho corso veloce quando appena gli ho dato le spalle ho visto a sinistra, in lontananza, un’altro zombi, e ho sentito che mi chiamava forte, e diceva con una voce orribbile e da oltre-tomba.
Quando sono uscito fuori da quell’incubo non credevo a tutte le cose che mi stavano succedendo! Troppo strano! Però mi stavo divertendo un mondo, e spaventando! Non l’avrei mai più fatto però, era matto quel mio amico! Come faceva a vivere in quel modo sempre, da pazzi!
E mentre pensavo me ne andavo verso la seconda tappa: pranzo da “Nerone”, al Colosseo”
Ci siete cascati. Siete stati attratti. Siete stati ingenui. Siete stati vinti.
Interrompo quì la narrazione, di colpo, come si convien che si faccia in determinate situazioni:
Vi spiego che il punto sarebbe stato di narrarvi fatti sempre più paradossali, al limite della credibilità, per poi smontarli, al momento del viaggio di ritorno verso casa del protagonista, e rendervi la verità, del tutto facile, stupefacente anche, verosimile, possibile, sebbene sfortunata (ad esempio avreste saputo che, tornando sulla strada già calcata delle porte del Verano, egli avrebbe intuito la vera identità degli zombie, ovvero quella di due addetti alla manutenzione dei terreni del cimitero; e i vermi nel piatto di pasta da “Nerone” non sarebbero stati altro che semplici effetti collaterali del troppo vino rosso).
E avreste compreso la stessa tristezza da lui provata nell’accorgersi di aver trascurato l’importanza di curiosi fattori quali la presenza di una tigre per le strade cittadine (al ritorno troverà già svolto l’ultimo triste episodio di una giornata di avvenimenti assurdi: tre corpi morti giù dal Ponte Casilino, sdraiati senz’anima sulla ferrovia sottostante. Alan, lo zoologo. La tigre. Il ragazzo. Morti; trascinati giù dalla forza implacabile e forse troppo aspettatamente gravitazionale del fato, che lega i corpi alla morte), quali un misterioso mercato medio-orientale (un mercato terroristico, diremmo a vicenda conclusa: il giorno seguente, morte ovunque.. Migliaia di oggetti-bomba venduti, esplodenti cronometricamente coordinati, in più parti, colpendo casualmente gli innocenti acquirenti. Morirà il più stretto tra gli amici del protagonista, dopo aver preso in prestito il videogame con lo scopo di copiarne i contenuti: una giusta punizione per uno sleale cittadino? Forse no..)..
E sarebbe stato bello continuare a leggere incerte nozioni di un uomo squallido, immobile, felice nella sua staticità, reso dinamico dal destino, per una volta nella sua putrida esistenza; sarebbe stato divertente, una distrazione dalla svogliatezza del quotidiano per moltissimi di voi a lui simili.
Ma io non ve lo permetterò. Essendo io il destino.
Tutto ciò è pura finzione, come voi ben sapete, come voi avete già messo in conto prima di iniziare a leggere.
Vi si vorrebbe ingannare. Non quì. Quì vi si sputa in faccia la squallidissima realtà da cui, stavolta, non riuscirete a fuggire. Leggete per oggettivare il vostro egocentico ego.
Scrivo per impedirvelo, per acciuffarvi da dietro e rigettarvi violentemente nel caos torbido dal quale vorreste evadere. Passivi parassiti, siete, per la piùpparte..
E gli altri? Dimostrino il contrario..
Giunti a questo punto eccovi illustrati i tre casi in cui potreste attualmente trovarvi: leggere con interesse; leggere senza interesse. E il terzo? Già, il terzo. Il terzo è riferito a quanti hanno già abbandonato la lettura, e la pazienza insieme con essa. Gli inetti appunto. I codardi, amo chiamarli; codardi che intraprendono strade rare e particolari credendosi audaci, ma che alla prima tigre sul cammino deviano senza neppure voltarsi indietro a comprenderne il perché, interessassi alle ragioni per le quali un presunto destino o caso abbia posto loro davanti quel determinato ostacolo, se così può esser detto.
Tra quale delle tre varianti ti collochi, oh lettore?
Desto, dormiente o codardo?
Codardo sicuramente, se hai abbandonato e stai rispondendo a questa domanda soltanto perché formulatati da desti o dormienti che abbiano avuto l’istinto di proseguire fino a questo momento.
Codardo, certamente, se stai sfogliando senza leggere l’intero sistema, o se hai aperto intento a leggere soltanto questo specifico nonché provocatorio passo.
È realmente sconcertante la crudezza con cui vengono infranti i sogni.
E tornereste a dormire, persi nella dolce e chiara notte; l’unica vera consolazione a questi tristi giorni, la notte, dalla quale non avreste mai desiderato separarvi, così attaccati a quella specie di morte breve, così vogliosi di restarci per sempre.
V’è sempre quel vincolo di dovere e sconfitta che viene a ridestarvi perentoriamente fin sotto la terra, sradicandovi dalla tomba che assai dolcemente vi culla e dalla quale assai finemente lasciate cullarvi, oh prematur morti!
Una volta svegli potrete ben ricordarvi di questo sogno letterario, di questa storia e questi personaggi a più livelli, e direte a voi stessi, con nostalgica noia o malinconico ardore, di quanto foste entusiasti o regrettanti di fronte a tutti loro, e direte ancora a voi, sempre a voi stessi, di quella volta in cui un giorno li rese immortali.
Quella volta in cui un giorno li rese immortali.
Immortali.
Sarete invidiosi della loro fittizia e pluripotente condizione di non-morte, che a voi manca. Non esistevano, non esistono, se non in questo pseudo-essere stabilitosi tra me e tutti quanti voi. Prenderete in considerazione il nulla. Vi sentirete inferiori al nulla, poiché esso possiede qualcosa che vi manca e che bramate più d’ogni altra realtà: l’essenza libera ed eterna.
“Sono io il protagonista, ricordatevelo.
Sono io che ho vissuto tutte quelle avventure, e mi sono pure piaciute..
È successo tutto proprio quì, dentro la mente. Riuscite a capire?”
Cogito, ergo sum..
“Sono stato io ad immaginarmi annoiato, diverso, monotono ed inetto, per poi lasciarmi spingere verso una sorta di pazzia, uno sgarro alla routine, col consiglio di quel mio amico che mi aveva detto di vivere veramente. Per me era folle stare tutta una giornata fuori, a camminare senza meta. E poi vedere senza comprendere tutte quelle cose, quelle avventure. Ma in realtà le ho comprese benissimo, tutte, dalla tigre all’assassino”
Di cui non sono arrivato a scrivere, e non ho intenzione di farlo; tengo soltanto a far presente che, a causa d’una macabra minaccia di morte, fu costretto a fuggire ed a salvare una donna, non molto bella, dalla quale ottenne in cambio il primo bacio e qualche altra prima esperienza. Ecco tutto. Non vi narrerò il fatto. Mai..
“Ho fatto più cose in quel giorno che in tutta l’esistenza, seppur non le abbia davvero fatte..
Comprendo ora ogni dettaglio ed ogni cosa, proprio dopo aver compreso di essermi autoinventato.
Io sono l’autore, non esisto, seppure mi sia generato”
Io sono il protagonista.
Sono convinto di esserlo.
Il fatto è che ora, in questo luogo spaziotemporale, l’unica realtà per la mia mente è quella dell’incertezza, del non saper più quale sia il vero mondo, se questo in cui scrivo o quello in cui immagino ciò che scrivo, o se ve ne sia uno che sia sintesi delle due cose, od ancora un altro in cui io-protagonista comprendo di essere anche autore e metto su carta ciò che penso di questa identificazione, non sentendomi più creato, ma creatore.
Il punto è che tutto ciò non ha importanza, perché non è questo il fine ultimo del mio scrivere.
Il fine è l’arte; e l’arte è inutile..
Il fine è imprecisato, e può solo comportare confusione, dubbio, autocontemplazione vana, vaga, superflua ed insieme necessaria.
Il fine è assicurarmi di essere imperfetto.
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento