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Quella panchina mutilata dall’incuria

Dicembre 28
09:36 2009

I tempi cambiano, le persone raccolgono nei capelli grigi gli anni che non ritornano. Il tempo che scorre via offre la possibilità di guardarci dentro, senza premeditarne l’agguato, appropriandoci di strumenti idonei affinché non si ripetano gli stessi errori. Zandalee è una ragazza che ciondola nei dintorni della Comunità Casa del Giovane, non riesce a sostenere un percorso terapeutico comunitario tradizionale, l’unica pedagogia che mastica è quella della panchina mutilata dall’incuria, con quella falsa libertà che ne consegue, caricatura beffarda della morte perennemente accovacciata sulle spalle.
Zandalee acconsente a frequentare uno spazio inventato nelle strutture della comunità: In & Out, per avere un momento di tregua dalla fatica di abitare la strada, per quanti come lei vivono situazioni di disagio sommerso, e non riescono a rivolgersi alle Istituzioni pubbliche, o non trovano in esse le risposte adeguate per la loro difficoltà. In un giorno orizzontale, di quelli che non dicono nulla, così definisce i giorni iracondi, mi ha detto: ma che cavolo volete da me, io non ho bisogno del futuro che volete aiutarmi a scorgere, non mi importa un fico secco di ripensare a ieri cosa è successo, la mia vita è in questo presente, non mi frega un accidente se non riesco a spiegarvelo, è così punto e basta.
Zandalee rimane agganciata alla nostra struttura, il filo costruito insieme non molla la presa, è un filo di speranza per non morire di freddo, di fame, di solitudine non di rado imposta, che non potrà mai avere prossimità con una qualche libertà da liberare. Quando vedo questa ragazza infagottata male, che cammina rasente ai muri come una colpevole, mi sembra di partecipare anch’io a questa paralisi del cuore, alla complicità sociale che fugge via innanzi a una ragazza che ruba i giorni alla vita. Un uso improprio di fare prevenzione, nella normale amministrazione della vita e della morte spese male, uno stordimento che è proprietà di una intera collettività, anestetizzata da stagioni sempre più omologate e assoggettate al presente, che non contempla sforzi per un possibile domani migliore.
Di droga si muore, di alcol si procede carponi, di violenza e onnipotenza ci si strozza, possono sembrare slogans, ma quando qualcuno stecchisce per il freddo su una panchina a lato della via, se altri optano per l’eroina, perché saturi di canne, cocaina e pasticche da calare giù, vuol dire che c’è un problema serio da affrontare, dirompente più delle ideologie, di qualche demenza gruppale da tirare a mano per giustificare sempre più facili autoassoluzioni.
Zandalee è diventata una intermittenza natalizia, con le sue dita febbricitanti, con il passato che non c’è, eppure ritorna come un giuda senza fare rumore, come l’eroina per gli appiedati e appestati licenziati come incurabili. Forse è addirittura una sofferenza in questo periodo di festa, come un effetto indesiderato per qualche stella di natale in più, per una cultura incombente che consegna medaglie solo a chi è promosso vincente, scavalcando con indifferenza Zandalee e il suo bivacco di niente, svenduto a poco prezzo, per una dose che più di qualche volta avrà fine solamente alla fossa.

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