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QUEL MALEDETTO FIORE ALL’OCCHIELLO

Luglio 05
09:47 2021

Certo che siamo un paese ipocrita come pochi, ci strappiamo gli abiti di dosso, ci scandalizziamo, quando una notizia a dir poco vergognosa, irrompe nelle nostre case, nella nostra tavola imbandita di risposte e poche domande, non riusciamo neppure a trovare una via di fuga, rimaniamo lì, paralizzati dallo sconcerto. I video del carcere in cui è stata messa in atto una vera e propria macelleria messicana, una spedizione punitiva premeditata, a freddo, senza alcuna pietà, non è un gioco di parole, piuttosto un gioco al massacro. Quel che è stato perpetrato nei riguardi di persone inermi, incapaci a reagire, dapprima con una violenza fisica irraccontabile, persino con chi era in carrozzina, poi il tentativo maldestro di fare passare i detenuti per facinorosi e ribelli, inscenando architetture belliche del tutto inventate come nella scuola Diaz a Genova. Per non parlare del teatrino delle parole e delle maschere indossate malamente per supportare la tesi che si tratta di irrisorie mele marce, non di alberi spogliati persino delle foglie. Su questo ragionamento stavo riflettendo se il famoso fiore all’occhiello di una prigione in regola con l’Ordinamento Penitenziario, della Costituzione, del Codice penale,  della dignità che non va mai annientata, per giunta a tradimento, non stride con un altro fiore all’occhiello, quello di un panorama penitenziario che non risponde ad alcun requisito di sicurezza e salvaguardia della collettività, infatti chi è costantemente addomesticato con la violenza, l’illegalità e il sopruso, nonché nell’impossibilità concreta di intraprendere un percorso rieducativo basato su una sana revisione e autocritica del proprio vissuto, non potrà mai risultare una risorsa positiva per la società una volta scontata la propria pena. Qualcuno potrà sbizzarrirsi a obiettare che non si tratta di metodo e di una prassi consolidata e sistemica, dove il comando gerarchico parte dall’alto della piramide del potere assoluto e cala alla base senza mai  incontrare alcun impedimento, figurarsi contaminazione o dissenso. Perché ho questi sospetti? Potrei dire per esperienza, ma non significherebbe nulla, piuttosto perché a questo punto mi pongo una domanda: quanti operatori inquisiti,  sotto processo, arrestati, sospesi in più città, in più carceri, in più regioni? Quanti operatori imputati di violenza, illegalità, soprusi e prevaricazioni, quanti? Non è difficile quantificarli. Sono poche mele marce o alberi  sradicati dalle intemperie costruite a misura? A noi paese delle interrogazioni parlamentari che servono a poco se non ad assolvere, mi viene da chiedere: se non ci fossero state le immagini riprese dalle telecamere del carcere, quei video così inaccettabili, sbattuti in faccia a indifferenti e soldatini dell’ideologia, fortunatamente rimaste integre, e non cancellate, quanti di noi bravi cittadini liberi, avrebbero fatto spallucce, affermando: ma si, sono le solite accuse inventate dai detenuti, si piangono addosso, accusano degli innocenti che onorano la divisa e il proprio paese. Ho sempre detto e lo ripeto più che mai anche oggi, che la società farebbe bene a guardare a quanto accade dentro un carcere, ma soprattutto a quanto non accade dentro una cella. In questo massacro di umanità, di illegalità, di violenza studiata a tavolino. 

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