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Quantasticherie metafisicheggianti

Quantasticherie metafisicheggianti
Novembre 23
12:44 2015

La Meccanica Quantistica, spesso detta anche in forma più generalizzata “Fisica Quantistica”, è nota ormai da molti anni anche al grande pubblico ma soltanto come nome e per la sua caratteristica di descrivere il mondo fisico sub-atomico con concetti incomprensibili alla luce delle esperienze del mondo macroscopico in cui viviamo, come è stato riconosciuto da uno dei suoi stessi creatori, Werner Heisenberg:

L’adattamento del nostro pensiero e del nostro linguaggio ai fenomeni della fisica atomica  è tuttavia collegato, come nella teoria della relatività, a delle grandi difficoltà.[1]

In ciò è paradossalmente accomunata all’altra grande descrizione del mondo fisico partorita dalla fisica moderna, la Teoria della Relatività, anch’essa nota al pubblico soltanto nel nome ma totalmente ignota nei suoi contenuti scientifici e filosofici, quando non viene travisata con la famigerata affermazione che è la teoria di Albert Einstein che dimostra che tutto è relativo, contrariamente proprio al suo obiettivo tutt’altro che relativistico: dimostrare che anche le leggi dell’elettromagnetismo – e quindi dell’ottica – sono un invariante rispetto a qualunque sistema inerziale, così come già Galileo Galilei aveva dimostrato essere per le leggi della meccanica. In altri termini, Einstein ha voluto dimostrare tutto il contrario di ciò che pensa il grande pubblico: che tutte le leggi del mondo fisico rimangono le stesse qualunque sia il sistema inerziale in cui vengono applicate. In definitiva si potrebbe affermare che la Teoria della Relatività è una ricerca dell’assoluto attraverso una critica e approfondita analisi di concetti relativi. Uno degli assiomi della Teoria della Relatività einsteiniana è, inoltre, esso stesso tutt’altro che relativistico, affermando l’esistenza di un assoluto: la velocità della luce nel vuoto come limite massimo di qualunque velocità raggiungibile in natura. Eppure, ancora oggi, si sente dire, anche da persone di una certa cultura, che Einstein ha dimostrato che tutto è relativo …

La Meccanica Quantistica, con le sue “bizzarre” rappresentazioni del mondo fisico a livello di microcosmo, si presta ancor più della Teoria della Relatività a dar adito a interpretazioni più o meno fantasiose e a voli pindarici sulla “vera” natura del mondo. Recentemente lo scienziato statunitense Robert Lanza, uno dei massimi esperti mondiali di cellule staminali, e  l’astronomo Bob Berman nel loro ultimo libro, intitolato Biocentrismo. L’universo, la coscienza. La nuova teoria del tutto, sostengono la tesi che poiché la meccanica quantistica si basa sulla coscienza umana, che rientra nella sfera di indagine della biologia, una eventuale Teoria del Tutto (TOE) dovrebbe essere centrata sulla biologia. Inutile dire che vi è stata una pronta levata di scudi da parte dei fisici di professione. Nello stesso libro, evocando l’esistenza degli universi multipli ipotizzata da alcuni fisici quantistici, c’è la presunta dimostrazione che la morte non esiste: mentre in un universo il corpo muore, in un altro può continuare a esistere, assorbendo la coscienza migrata in quest’ultimo. Sulla stessa scia di tentativi di spiegare con la fisica quantistica temi come la morte, l’anima e la vita eterna (finora di pertinenza delle religioni) è stata sviluppata dal medico americano Stuart Hameroff e dal fisico quantistico inglese Roger Penrose una Teoria Quantistica della Coscienza, secondo la quale le nostre anime sarebbero inserite in microstrutture chiamate microtubuli, contenute nei neuroni. L’anima sarebbe composta da prodotti chimici quantistici che, nel momento della morte, fuggono dal sistema nervoso per entrare nell’universo.

Gli stessi studiosi di meccanica quantistica hanno idee differenti sulla loro materia, formulando approcci differenti che danno luogo a oltre una dozzina di interpretazioni, fra le quali quella maggiormente condivisa è la cosiddetta interpretazione di Copenaghen, ispirata ai lavori di Niels Bohr e Werner Heisenberg.

Molti risultati della Meccanica Quantistica sono in netto contrasto con le tradizionali idee della fisica classica e quindi colpiscono particolarmente la fantasia dei non addetti ai lavori: il carattere probabilistico, l’interazione soggetto-oggetto nelle misure di grandezze fisiche e la conseguente indeterminazione del concetto di osservazione derivante dalla complementarietà delle due descrizioni  classica e quantistica della materia («…poiché rimane arbitrario quali oggetti si debbano considerare come facenti parte del sistema da osservare e quali debbano essere considerati come mezzi di osservazione»[2] dice lo stesso Werner Heisenberg), la negazione del principio di causalità, il venir meno del concetto di traiettoria inteso come successione temporale delle posizioni occupate da una particella elementare.

Proprio il carattere rivoluzionario di alcuni risultati della Meccanica Quantistica ha alimentato, purtroppo, frettolose e superficiali conclusioni in realtà non presenti in essa. La più diffusa e frequente  riguarda proprio il principio di indeterminazione di Heisenberg, che è a fondamento della Meccanica Quantistica. Spesso, infatti, si sente affermare che secondo tale principio non è possibile misurare con esattezza la posizione e la velocità di una particella. Ci sono una grave imprecisione e una ancor più grave omissione in questa “personalizzata” enunciazione del principio di Heisenberg. Il termine “esattezza” non ha in sé alcun senso al pari dei termini grande e piccolo. Non esiste, in fisica (anche quella classica), il concetto di misura esatta intesa come “valore vero” di una grandezza: ogni misura può essere migliorata nel suo grado di precisione utilizzando strumenti più precisi (quando esistono) ma è sempre affetta da un errore di misura. L’omissione riguarda la parola “contemporaneamente”. Il principio di indeterminazione afferma, infatti, che non è possibile misurare contemporaneamente posizione e velocità di una particella diminuendo a piacere l’errore (o indeterminazione) della misura sia della posizione che della velocità, in quanto risulta dimostrato dalla teoria, e confermato dall’esperienza, che il prodotto delle due indeterminazioni deve essere sempre maggiore o al limite uguale al rapporto h/2π m, essendo h la costante di Planck ed m la massa della particella. In formula: ∆x ∆v ≥ h/2π m. Ciò significa che si può aumentare la precisione di misura della posizione (diminuizione dell’errore ∆x) a scapito però della precisione di misura della velocità (aumento dell’errore ∆v) e viceversa, in quanto il prodotto dei loro errori di misura ∆x ∆v non può essere inferiore al valore limite h/2π m caratteristico di ogni corpo. Heisenberg stesso precisa, parlando di “grado di esattezza”  e  non di “esattezza”, che:

Le relazioni d’indeterminazione riguardano il grado di esattezza raggiungibile nella conoscenza dei valori assunti simultaneamente dalle diverse grandezze che intervengono nella teoria dei quanti. Poiché queste relazioni non limitano l’esattezza raggiungibile, per esempio, in una data misura isolata di posizione o di velocità, la loro importanza proviene soltanto dal fatto che ogni esperimento, il quale renda possibile una misura, per esempio, di posizione, perturba necessariamente fino a un certo punto la conoscenza della velocità.[3]

Lo stesso principio si presta molto bene a chiarire i “reali” limiti di applicabilità della Meccanica Quantistica al mondo sub-atomico delle particelle elementari e a validare l’applicabilità della fisica classica di Galilei-Newton al mondo macroscopico. Infatti, la costante di Planck (h=6,626068633 x 10-34 Js) ha un valore piccolissimo (è 0, seguito da 33 zeri e da 6626068633) e nella formula che esprime il principio di indeterminazione figura a numeratore mentre a denominatore figura la massa del corpo, per cui il rapporto h/2π m, per gli ordini di grandezza della massa che caratterizzano i corpi del mondo macroscopico, assume valori piccolissimi. Questo significa che nel mondo macroscopico la soglia al disotto della quale non può scendere il prodotto delle indeterminazioni delle misure di posizione e velocità è talmente piccola da essere ininfluente, e pertanto si può ignorare il principio stesso, pur essendo teoricamente ancora valido. Analogamente l’applicazione della Teoria della Relatività al mondo macroscopico del nostro vivere quotidiano, in cui le velocità dei corpi sono enormemente inferiori a quella della luce, porterebbe a correzioni relativistiche dei risultati ottenibili con la fisica classica del tutto trascurabili.

Talune affermazioni sulla rivoluzione apportata dalla Meccanica Quantistica alla nostra visione del mondo sono quindi esagerate, per non dire fuori luogo: la visione del mondo macroscopico nel quale si svolge la nostra vita di umani è ancora validamente rappresentata dalla fisica classica.

La Meccanica Quantistica è una disciplina ancora non consolidata pienamente, in evoluzione. Recentemente, nell’aprile del 2014, un gruppo di ricercatori del Politecnico di Losanna guidato dall’italiano Fabrizio Carbone, sarebbe riuscito a fotografare contemporaneamente la luce come onda e come particella (fotone). La fotografia e la descrizione dell’esperimento sono stati pubblicati il 2 marzo 2015 sulla rivista «Nature Communications» (DOI: 10.1038/ncomms7407). Se la fotografia venisse confermata da altre, verrebbe meno uno dei pilastri della Meccanica Quantistica: il principio di complementarità enunciato da Niels Bohr nel 1927, secondo il quale la luce e tutta la materia in generale manifestano una duplice natura, ondulatoria e corpuscolare, ma mai simultaneamente nello stesso esperimento.

I risultati della Meccanica Quantistica, così innovativi rispetto alle nostre idee tradizionali, hanno alimentato molti dibattiti filosofici e orientato, specialmente negli USA, l’attenzione sia di filosofi sia di fisici sul problema ontologico. Sono sempre più i filosofi che studiano fisica e i fisici che si occupano di filosofia. Ispirati ai concetti quantistici, sono nati movimenti e nuove branche del sapere, come l’Informatica Quantistica, la Teoria Quantistica del Cervello (Quantum Brain Theory), la Biologia Quantistica (Quantum Biology), la Teoria Quantistica della Conoscenza (Quantum Cognition) e l’Arte Quantistica (Quantum Art). Il rischio che si corre con queste nuove discipline che si arrogano il diritto di definirsi “quantistiche”, ma molte volte senza una seria base scientifica, è di scivolare sempre più verso moderne forme misteriche (quanti possono capire veramente le stranezze della  meccanica quantistica?) con caratteristiche più metafisiche che fisiche e, in alcuni casi, addirittura religiose e mistiche. Sembra che la Meccanica Quantistica, proprio per la sua lontananza dalla nostra usuale visione del mondo, autorizzi molti non fisici a scatenarsi nelle più strampalate fantasie sulla vera natura delle cose, morte compresa.

[1] Werner Heisenberg,   I principi fisici della teoria dei quanti, Torino, Boringhieri, 1963, p. 74.

[2] Ibidem, p. 75.

[3] Werner Heisenberg,   I principi fisici della teoria dei quanti, Torino, Boringhieri, 1963, p. 31.

Scritto da Luca Nicotra

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