Quando sparì la scrittura
Quando sparì la scrittura
RACCONTIDINATALEPERTUTTI
«- Che cosa guardi con tanta forza, papà?
– Sto cercando logica e buon senso terrestri, buon governo, pace e senso di responsabilità, sempre terrestri.
– Tutte queste cose sono là, sulla Terra?
– No, non ce le ho trovate. Non ci sono più. Forse non vi ritorneranno nemmeno più. Forse ci siamo illusi che vi siano state un tempo».
Ray Bradbury – Cronache marziane
Ce l’avevano fatta. Tra stampa, media e social la scrittura a mano era stata dichiarata, senza appello, desueta. Vecchia, sfatta, marcita, andata, odiata, malata, malvoluta. D-e-r-u-b-r-i-c-a-t-a. Non se ne poteva più. In poco tempo erano spariti anche quei negozietti profumati agli angoli delle strade che quando entravi t’avvolgeva un odore niente male di violetta e pesca; e poi un sentore metallico di quel liquido che si chiamava…inchiostro. Quelli con la carta, sì mi pare si dicesse ‘carta’, colorata o ecologica, o quella un po’ giallina dei quadernoni d’una volta. Quei negozietti che, nella vetrina buona, esponevano ancora un antico grazioso calamaio in vetro, i pennini e le confezioni d’inchiostri colorati e brillanti.
Con le ‘cartolerie’, testimonia un antico dizionario si chiamassero proprio così, sparirono le matite, le penne d’ogni foggia e sfumatura, i lapis: pare la parola sia realmente esistita anche se si perse per sempre la funzione reale dell’oggetto come pure accadde per le ultime rismette scure di carta copiativa che, dicono, s’usassero per battere su alcune meccaniche scure, a gradoni. Come non si seppe più nulla di certe, misteriose, carta velina, carta assorbente, carta paglia…acquistate, forse, per non meglio dichiarati riti magici.
Da un giorno all’altro era cambiato tutto. La parola ‘scrittura’ era veramente out pronunciarla e perciò proliferavano neologismi e spadroneggiavano parole straniere come: ‘ci messaggiamo’, o anche ‘ci smessaggiamo’, ‘t’ho uottsappato l’altra sera ma ho capito che eri impegnato’. L’ardito: ‘sto andando a tastierarmi a scuola’ o ‘al corso di nuoto’ al posto dell’incartapecorito, e vietato, ‘iscrivermi’; stiamo facendo un crowdfunding per la cena di fine anno (che sospettiamo, ma qui gli studiosi ancora s’accapigliano, sostituisca l’abusato ‘sottoscrizione’); o, fra gli altri, lo spericolato ‘mi so’ tablettato’ l’appuntamento della prossima settimana; c’ho la ‘timetable per domani’ (che pare sostituiscano i logori ‘appuntato’ (da ‘appuntare’ e non dal grado militare relativo) e ‘organizzare’, per esempio, una giornata.
Solo certi ragazzini, imperterriti, s’erano messi a fare uno strano gioco per la strada. Conservati gelosamente alcuni gessetti, ormai da tempo sequestrati dai NAS (Nuclei Anti Scrittura) in tutte le scuole, di pomeriggio, finiti i compiti al tablet e ripostolo, chissà perché, il più lontano possibile accanto all’ormai snobbato computer e a i videogiochi, si mettevano a tracciare certi disegni strani nelle piazzette più remote che riuscivano a trovare. Lì recitavano, saltando su un piede solo, o su due a gambe divaricate, le rigide formule d’un semplice (diseducativo?) gioco chiamato ‘campana’. I nonni, complici anch’essi del rito e ‘occhio alla penna’, come ricordavano si dicesse un tempo, badavano che non arrivasse nessun estraneo.
Qualche volta una mamma s’accorgeva dell’insano capannello e, preso il monello per un orecchio lo trascinava a casa allontanandolo dal quel gioco démodé, proibito, badando che nessuno li avesse potuti vedere da una finestra o, che so, da un balcone. Altri ragazzini a quel punto, per non essere scoperti in strada, se ne stavano al riparo nei portoni e, recuperate alcune scatole di kek dagli sportelli della cucina, quei biscotti secchi a forma di lettera dell’alfabeto ancora, chissà perché, in vendita all’Ikea, componevano su un gran foglio di rarissima carta bianca, paroline e parolacce. Le preferite, e più facili, non scevre da errore, erano ‘caccole, cacolone’, ‘peti’, ‘cacca’ ‘scemo’ e squola. Una volta composte le sparigliavano ingoiandole, quasi morti dal ridere, assieme al succo di frutta alla pesca che tiravano su da certi tetrapak con la cannuccia. Ridevano e ingoiavano, ingoiavano e ridevano facendo, perfino, buffe bolle dal naso.
I nonni, e tutti quelli che ricordavano ancora qualcosa della scrittura manuale e del suo corredo strumentale, pensavano che era stata pure una iattura quest’uscita di scena della scrittura manuale, e delle lettere così come s’erano conosciute per secoli, vive e vegete fra le mani d’ogni ragazzino che le poteva torturare a proprio piacimento.
Ma adesso i ragazzini avevano ripreso a piegarle ai loro voleri, in gran segreto, e per di più…non ricordavano d’essersi mai divertiti tanto! (Serena Grizi)
Racconto apparso nella raccolta L’Impiegato – Sguardo alla terra, A.A.V.V. Veledicarta, Roma 2015
Immagini web – Il racconto appare anche su Variazioni
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