Quando la Pensione ha “Saturno contro”
Io e Carlo ci conoscemmo all’inizio dei lontani anni ’70. Eravamo poco più che ventenni, essendo nati entrambi nel 1951. Eravamo due giovani attori di belle speranze, accomunati dall’aver iniziato assai presto la carriera facendo gavetta in cabaret, per poi riuscire a trovare le prime scritture nel teatro più tradizionale. A Roma in quegli anni, per chi tentasse la strada del teatro, la via era assai meno impervia di oggi, perché moltissime erano le compagnie e le cooperative che lavoravano in Italia, facendo lunghe tournee che garantivano lavoro continuato per sette-otto mesi l’anno. La paga era minima ma sicura, assieme ai dovuti contributi pensionistici e previdenziali, anche se a quell’età alla pensione proprio non ci si pensava. Ci si vedeva spesso, ci si incontrava in provincia dove si debuttava, ci si trovava negli stessi alberghi e soprattutto, da bravi attori professionisti, negli stessi ristoranti. Io presi una strada più “seria” facendo spettacoli diciamo impegnati.
Carlo, forte di una sua particolare vis comica, continuò col teatro leggero, ed ebbe un grande successo con un una strepitosa versione musical di Piccole Donne. Si viveva con poco, ma eravamo giovani, e la strada davanti a noi era un viale alberato di prospettive di successo. Arrivarono i trent’anni, il lavoro si consolidava, ci si cominciava a sentire davvero dei professionisti e le paghe crescevano di conseguenza, non tantissimo, ma a sufficienza per vivere bene, magari dividendo tra noi le spese per l’appartamento a Roma e per trovarci la sera a mangiare in quelle trattorie romane dove il credito agli attori era una prassi consolidata. Poi arrivarono i “quaranta”. Per Carlo e per me, come per molti altri del gruppo dei nostri amici, arrivò anche il matrimonio e, a seguire, un paio di figli. Il lavoro non mancava, ma erano gli anni Novanta, e qualcosa cominciava a scricchiolare nel mondo del teatro. Era sempre più difficile trovare scritture lunghe, pagate adeguatamente e spesso ci si ritrovava a provare una commedia per un mese a paga minima, per poi lavorare per una trentina di repliche solamente, e neanche tutte di fila. Ma i contributi venivano pagati regolarmente, e qualcosa si riusciva a portare a casa. Io in quegli anni ebbi la fortuna di scoprire, e di essere scoperto, dalla RAI-TV dove tra Radio e Televisione, riuscii ad avere notevoli soddisfazioni. Altri di noi si buttarono sul doppiaggio, che allora ancora “tirava” moltissimo grazie ai serial americani. Altri ancora trovarono ricovero nelle soap opera nostrane, dove tuttora stanno ricoverati. Ma insomma la strada non era più in discesa come un tempo e la famiglia cresceva assieme alle spese. Arrivarono i cinquant’anni, e quando ci si ritrovava con Carlo e gli altri amici, ci si cominciava a raccontare più gli acciacchi che i successi, mentre tutt’intorno il mondo dello spettacolo che avevamo conosciuto da giovani andava sfaldandosi come un castello di sabbia, lasciando spazio ai Grandi Fratelli, alle Isole dei Famosi e agli attori improvvisati costruiti su misura dal nulla dai Lele Mora & Co. Restava però una certezza. Avendo sia io sia Carlo cominciato i primi passi nello spettacolo attorno ai diciannove anni e avendo avuto la fortuna di vedersi versati all’epoca i primi contributi, la pensione restava un traguardo su cui contare, una sicurezza che garantiva un minimo di prospettiva ad annate non certo entusiasmanti. Quando iniziammo a lavorare l’età pensionabile era fissata attorno a i cinquant’anni, e all’avvicinarsi di quella scadenza ci si cominciava a pensare come ad una benedizione, come un contributo fondamentale per tirare avanti. Poi negli anni qualcuno o qualcosa si mise a spingere quel traguardo sempre più avanti e ogni volta che si era vicini alla meta, la meta come una fata morgana si spostava in avanti di qualche anno. Fino ad arrivare ai sessant’anni. E i sessant’anni sono arrivati. Ricordo che nel 2010, ad un passo dal traguardo finale, una sera a cena ci guardammo, io e Carlo, e ci dicemmo: «Caspita, tra poco saremo dei vecchi pensionati da giardinetto pubblico…. come è volato il tempo!» E Carlo aggiunse: «Io non vedo l’ora. Con questi chiari di luna, per la mia famiglia sarà veramente una boccata d’ossigeno». Così un bel mattino a fine 2010 andai all’ENPALS, oggi ormai “ente disciolto” come neve al sole, e chiesi se nel 2011, coi miei sessant’anni di età, e più di quaranta di lavoro, avrei potuto ricevere il mio bravo assegno mensile. Fecero elaborati conteggi, mi dissero di ripassare più volte, e dopo alcune settimane un solerte impiegato mi guardò negli occhi e mi chiese: «Lei è del 1951! Va bene… ma di che mese è?» Credevo che scherzasse e gli risposi: «Sono del Toro, caspita, 18 Maggio, come il Papa!» Rifece i suoi complicati calcoli e dopo un attimo di pausa mi disse: «Allora è fortunato, rientra nella finestra!» Io lo guardai, poi guardai la finestra del suo ufficio, chiusa ermeticamente, poi tornai a fissarlo stupito. E lui serio. «Se era del Cancro la pensione non la vedeva ancora per chissà quanto!» Infatti a godere i diritti maturati erano abilitati solo i nati del primo semestre del 1951. Uscii rinfrancato dalla mia buona sorte zodiacale che mi garantiva i miei diritti pensionistici, ringraziai le Pleiadi che brillano tra le corna del Toro e pensai sorridendo a quanto questa strana variante astrologica sarebbe stata calcolata dal grande Branko, “il signore dell’oroscopo”. Ma mentre prendevo un caffè per premiarmi della mia taurinità, il mio pensiero andò al mio amico Carlo, di cui non ricordavo esattamente il mese di nascita. Caspita… Carlo era Vergine! La sua festa cadeva all’inizio dell’autunno. È passato un anno e a quanto è dato di capire, il mio amico Carlo, mio coetaneo e mio collega, stessa anzianità, stessi contributi, stessa storia lavorativa, la pensione la vedrà quando Urano si congiungerà con Plutone e Venere in Bilancia, opposti a Marte e Giove in quadrato con Saturno che come notoriamente si sa è sempre “contro”.
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