Quando il mondo era ancora grande
Quando ero molto più giovane di adesso il mondo era più grande. Esistevano popoli ancora lontani e terre ancora misteriose.
A venti anni, con tre amici squattrinati come me, trovammo di quarta mano un pulmino VolksWaghen e decidemmo di andare a vedere il mondo. Partimmo da Roma un mattino di giugno e puntammo il naso verso Est. Attraversammo la Grecia e arrivammo a Istanbul, la porta del mistero. Attraversammo tutta la Turchia, passammo sotto il monte Ararat dove riposa l’arca, poi il Kurdistan, e dopo attraversata la frontiera passammo in Iran, dove ancora regnava lo Scià. Teheran, ci accolse come un risveglio dal sogno: dopo tanti giorni di villaggi, deserti, e accampamenti di pastori, trovammo una città moderna, piena di locali dove giovani dai capelli lunghi come i nostri suonavano dischi di Zappa e di Hendrix. In un cinema davano un film di Terence Hill e Bud Spencer.
Poi ci rituffammo verso levante. Ancora sabbia e villaggi, fino alla frontiera con l’Afghanistan. Fummo letteralmente spogliati da efficientissimi soldati Iraniani, che dietro i loro Ray Ban specchiati controllarono più volte tutti i nostri documenti, prima di lasciarci andare. Dopo un kilometro di terra di nessuno ci apparve una garitta cadente, da cui uscì un milite sbrindellato che si avvicinò barcollando e ci disse in un inglese altrettanto barcollante:. “Hi guys, you want hashisha?… marijuana?…. oppium?… cocaine?… kalashnikov?” Era l’Afghanistan! Arrivati a Kabul, in Chiken Street trovammo un locale dove si riunivano i “viaggiatori” come noi. Appena entrato mi sentii chiamare in Italiano. Mi giro. Alle mie spalle, ad un tavolo con una birra e un cannone in mano, e in testa un fez rosso, sedeva Ciccio, un mio compagno di scuola! Era Kabul. Ma noi decidemmo di andare a vedere cosa c’era più avanti. Attraversati i laghetti di Band-e Amir ci trovammo davanti gli immensi Buddah scavati nella roccia. Poi risalimmo fino a Mazar-i Sharif per vedere il mercato. Vedemmo fieri guerrieri sparare felici coi loro fucili, cavalcare nella mischia lanciandosi un capretto sanguinante. E vedemmo accorti compratori accoccolati sui tappeti davanti a cataste di fucili, valutare il giusto prezzo di un fucile mitragliatore, sorseggiando bicchierini di tè. Vedemmo… Poi riprendemmo la via dell’Oriente, perché il mondo continuava più a Est. Scendemmo il Khyber Pass e arrivammo a Peshawar, dove passammo una notte a girare col pulmino avvolti in un nugolo di zanzare. E in fine salimmo sull’altopiano del Pamir, tra boschi e mandrie, fino ad un piccolo “albergo” di legno dove decidemmo di fare sosta e meditare su tutto quanto i nostri occhi avevano bevuto in quei mesi. Da lì girammo la prua e tornammo verso Ovest. A Bari venimmo fermati per possesso di stupefacenti: avevo con me tre pacchetti di innocenti Beedis, dei sigarini liberamente venduti anche in Italia!
Oggi penso ai miei figli e a quanto per loro il mondo si sia ristretto.
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