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Quale globalizzazione vogliamo?

Gennaio 27
16:45 2013

Una volta c’era il comunismo come elemento qualificante della sinistra politica. Ma oggi che la strada del comunismo sembra impraticabile non si sa più quale sia il reale fattore di discriminazione del bipolarismo. La confusione è massima, poi, tra la stessa nomenklatura politica. Con la moneta unica europea si sono fatti passi da gigante con la globalizzazione. Un male o un bene per l’umanità?

Ecco, dipende! Bisogna vedere se i benefici sono per chi possiede grandi capitali e li investe spostandoli da una nazione all’altra, o per chi è lavoratore dipendente. Facciamo un esempio pratico. Prendiamo Steve Jobs, scomparso sul finire del 2011, fondatore di Apple, azienda tecnologica digitale più importante al mondo. I suoi ideali erano: seguire ciò che suggerisce la propria intuizione piuttosto che i dogmi degli altri; vedere realizzato il primato della creatività in una società fondata sul potere delle idee; l’innovazione continua che persegua una modernità rispettosa dell’ambiente.
Ma se da un lato il più grande genio californiano della tecnologia digitale proponeva una creatività svincolata da logiche di potere, dall’altra parte dissimulava la logica implacabile dell’accumulazione capitalistica della quale egli era partecipe: fare profitti sfruttando al massimo gli operai. L’azienda Apple di Steve Jobs aveva delocalizzato la produzione dove i costi del lavoro si sa che sono più bassi, dimostrandosi insensibile di fronte alla questione operaia. La più grande fabbrica del pianeta in cui vengono assemblati quasi tutti gli iPhone, iPod e iPad venduti nel mondo è la Foxconn, società controllata da capitali di Taiwan. Il suo principale stabilimento, che si trova a Shenzhen nella regione del Guangdong in Cina, è stato teatro di proteste operaie durissime a causa delle condizioni ignobili di lavoro: non solo scioperi selvaggi ma anche suicidi diffusi. Nulla è stato concesso ai lavoratori cinesi dall’alto come un dono. La Apple di Steve Jobs ha taciuto! Solo dopo l’intervento delle organizzazioni umanitarie, a seguito dei numerosi suicidi, si è avuto un miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro. Tornando all’inizio del nostro discorso sul tipo di globalizzazione, vediamo che si preferisce portare le fabbriche dove i costi del lavoro sono più bassi, il debito pubblico è quasi inesistente e lo Stato è disponibile a creare infrastrutture necessarie alle imprese.
Si assiste sempre più ad una mutazione genetica di un capitalismo senza più legami con la propria nazione d’origine, e senza più doveri di cittadinanza. Anche in Italia con la riforma del lavoro operata dal governo Monti è stata data più libertà di licenziamento ai management industriali (ad esempio alla Fiat di Marchionne) che, pure, in passato avevano usufruito di contributi statali in risposta alle loro crisi economico-finanziarie. In un anno di governo tecnico si sarebbe dovuto, invece, combattere seriamente la corruzione e l’evasione fiscale (vere emergenze nazionali) con l’obiettivo di ridurre le tasse a chi le ha sempre pagate. Obiettivo, questo, che avrebbe portato ad un aumento dei consumi delle fasce più deboli (cioè con redditi più bassi e più bassa propensione al risparmio). Di fatto, gli effetti delle riforme del governo Monti non hanno prodotto ottimismo. Licenziamenti e tagli alla Sanità e all’Istruzione hanno determinato più povertà e disoccupazione, e maggiori costi per curarsi e per istruirsi.
Questi sacrifici per il Paese non sono serviti a ridurre il debito pubblico, che era il principale obiettivo del governo tecnico voluto dal Presidente della Repubblica. Il liberismo economico-finanziario internazionale (visto da Monti e Marchionne) vuole una globalizzazione dove le imprese siano libere di produrre negli Stati dove i costi d’impresa sono più bassi per ricavarne più alti guadagni, come hanno fatto la Apple e la Fiat. Ma per i lavoratori la soluzione alla crisi economico-finanziaria internazionale non può essere una globalizzazione ai livelli più bassi delle loro condizioni di vita, bensì ai livelli più alti dove esistono tutele e diritti (come in Europa e Stati Uniti). Ciò significa che bisogna puntare a far stare meglio chi sta peggio (come i lavoratori cinesi) alzando pertanto le tutele a chi non ne ha affatto. Allora dobbiamo scegliere quale globalizzazione vogliamo: quella che rispecchia il liberismo di centrosinistra che guarda agli interessi dei lavoratori o quella che risponde al liberismo di centrodestra (di Monti e Marchionne)?

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