Quale cultura attorno al femminicidio – 2/2
Cercando ancora nel mondo della cultura segnali da parte di chi si è interrogato o con cognizione di causa o con acutezza sugli strascichi dei delitti femminili, sulle sottili dinamiche familiari che sono il prodromo di molte storie e sulla cultura maschilista esercitata da uomini e donne, troviamo il bel film di Pupi Avati del 2008 Il papà di Giovanna.
Uno straordinario Silvio Orlando resta accanto alla figlia omicida, una ragazza timida e problematica, a costo di veder naufragare il matrimonio con l’amatissima moglie, colpevole anch’essa, per la società, di essere madre troppo bella di una figlia che non lo è, donna alla ricerca spasmodica, invece, della propria identità. Il film sembra ricalcare, alla lontana, la vicenda del padre di Erika De Nardo che non volle/non poté rinunciare all’affetto della figlia unica superstite della sua famiglia: ‘figlia mostro’ nelle cronache, eppure figlia, quella cui aveva tenuto centinaia di volte la mano prima che questa diventasse strumento di morte. Anche nel discettare dei cosiddetti femminicidi occorrerebbe prendere più coraggio e guardare a fondo l’attuale costruzione/costrizione sociale, la cultura che la foraggia, il ruolo della donna così com’è descritto/immaginato sulle riviste patinate e sui quotidiani e quello che si trova ad essere nella realtà. Già da bambini i maschi e le femmine sono incasellati, soprattutto nelle famiglie con minore istruzione, in categorie prestabilite: le bambine ‘principesse’ nelle poche fiabe lette da piccole, proseguono con la sottocultura da romanzo rosa promossa a genere di primo piano anche nelle librerie un tempo fonte di sapere. Discorsi senza fondamento sul favoleggiato giorno del matrimonio, spesso, non trovano approfondimento nel parlare dell’impegno che occorre per affrontare la vita di coppia e molte resteranno convinte di dover cercare, per poi trovarlo di sicuro, il principe azzurro, l’uomo perfetto cui affidare se stesse e il proprio destino, colui che lavorerà e baderà alla sicurezza della famiglia. I bambini, poi ragazzi, a molti dei quali non sarà mai insegnato il rispetto per il genere ritenuto inferiore, a tentare, a volte per tutta la vita, di corrispondere all’ideale di uomo sicuro, dispensatore di benessere economico, essendo individui che invece, a volte, non sono stati educati a badare neppure a se stessi e per molti dei quali il nucleo familiare è solo l’estremo rifugio per non affrontare una vecchiaia solitaria (come raccontano molti tristi fatti di cronaca). Degli individuali scostamenti, più o meno evidenti, da questi ‘ideali d’amor cortese’ una società migliore non farebbe carico né alle une né agli altri se veramente volesse essere testimone della fatica di restare insieme per tutta una vita. I ruoli assegnati da secoli di storia ci sono e resteranno è chiaro, non solo nella loro accezione negativa, ma anche per quanto hanno potuto costruire di buono fin qua. Ciò non toglie che i due sessi dovrebbero/potrebbero darsi opportunità in più nella vita: questo farebbe di noi individui meno concentrati sul fallimento del proprio ruolo di genere contribuendo ad una società più aperta a opportunità diverse. Leggendo le cronache, sembrerebbe che il macigno nella mente di molti assassini della compagna di una vita, al netto di problematiche psichiatriche sofferte a volte sin dall’infanzia, sia l’incapacità di mostrarsi sconfitti davanti al proprio ambiente sociale, alla vigilia di una separazione per esempio, più poveri a volte, spesso nell’impossibilità di pensare ad una vita nuova dopo la fine di una storia, complice un malinteso senso di possesso dell’altra persona. Le donne sono punite fino all’estremo per la loro maggiore capacità di vedere quando un matrimonio è finito o quando il loro compagno presenta sintomi di possessività malata. Ma entrambi i generi, probabilmente, pur nella differenza sostanziale di comportamento, sanno molto bene che nessuno li aiuterà, che si troveranno di fronte a maggiore solitudine, indifferenza, in alcuni casi, del tessuto sociale, abbastanza ben disposto verso la famiglia, ma molto meno verso l’individuo singolo e in difficoltà. Anche le istituzioni si sono ‘risvegliate’ da poco, sensibilizzate da questa sorta di piaga sociale del delitto al femminile. Eppure, ancora oggi, quando si tentano interventi culturali coinvolgenti esperti, scrittori di lungo corso, consulenti familiari, il pubblico è spesso a maggioranza femminile, come se agli uomini il problema non riguardasse e come se le donne presenti, molte volte di estrazione medio borghese, si facessero ascoltatrici di un problema che riguarda i maschi assenti, coinvolte, invece, esse stesse nell’educazione dei figli o esse stesse maltrattate, poiché la violenza domestica, psicologica o fisica, non conosce barriere sociali. Nessuno di noi potrà dire una parola definitiva in merito agli avvenimenti delittuosi di questi anni, protagoniste le donne, ma una mentalità diversa, maschile e femminile, nella quale la donna possa dirsi realizzata pur non intraprendendo una relazione sentimentale stabile o un percorso di maternità esemplare, e un uomo possa dirsi realizzato nelle stesse condizioni e senza dover dar prova di virilità e solidità, si può costruire solo di concerto fra i generi. Se la violenza familiare esploda per insanabili contrasti fra i generi o se sia il prodotto di insanabili contrasti intrinseci alla stessa costituzione del nucleo familiare, lo potrà dire nei prossimi anni anche l’analisi della storia di coppie omosessuali, costituite fra persone dello stesso genere, con o senza figli. In molte di queste una diversa estrazione culturale, una maggiore istruzione e l’elaborazione di nuovi e diversi ruoli familiari possono rappresentare oltre che positive realtà per chi le vive, anche un nuovo punto di vista che promette orizzonti di non violenza. Orizzonti nei quali il conflitto maggiore (la necessità di corrispondere all’identità di ruolo sempre e comunque) dovrebbe essere sanato a priori da una scelta che sembrerebbe essere davvero libera. Una scelta per l’affermazione della quale la coppia stessa è costretta a combattere in alcuni contesti/Paesi pregni, chissà fino a quando, di pregiudizi.
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