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Ottobre 27
15:13 2010

Il professore tracciava sulla lavagna diagrammi e funzioni differenziali, quando dal corridoio giunse un rumore inquietante. Qualcuno bussò alla porta. Il professore provò a muovere lenti i suoi passi sul pavimento, ma la corrente fredda di sangue nelle vene gli impedì ogni gesto consapevole. Anche i ragazzi avevano cominciato una evidente mutazione nella loro terrestre struttura e nei pensieri, riflesso di una vita monotona e grigia. Nell’aula regnava infatti un silenzio quasi assoluto: tendendo l’orecchio si poteva percepire il respiro degli studenti e persino il loro battito cardiaco, o almeno si aveva questa sensazione. Era un infinito momento di sospensione. Altri colpi alla porta.

“Avanti!” disse infine il professore, dopo un tempo che sembrò biblico.
Nessuna risposta. Adesso l’attenzione e lo sguardo dei ragazzi erano tutti concentrati verso la porta. Era una porta piuttosto comune per la verità, in legno verniciato di grigio chiaro, scrostato in più punti, e con una maniglia di stile antico, dall’aspetto non molto solido, di quelle che si tende ad aprire con delicatezza nel timore che rimangano in mano. Chissà chi c’era dall’altro lato di quella porta, chi disturbava la lezione di algebra mentre questa si avviava alla sua conclusione.
“Avanti!” ripeté il professore con tono seccato.
Ancora silenzio, poi di nuovo quel rumore inquietante nel corridoio. Lo sguardo degli studenti si rivolse al professore, come per una richiesta silenziosa. Il professore comprese che doveva alzarsi ed andare a vedere cosa stava succedendo.

Tic tac, tic tac… L’orologio di Marco batteva il tempo, come sempre in ritardo, arrivare alla lezione in orario sembrava per lui un’impresa ciclopica! Che tipo strano, che essere speciale! Questo era Marco! Un uomo e un bambino, un angelo e un demone insieme, un grande incantatore di folle. Aveva ripreso gli studi dopo una lunga interruzione, rispondendo alla sete di conoscenza della sua anima. I ragazzi lo avevano accolto e incoraggiato in questa sua scelta. I suoi occhi, però, nascondevano qualcosa a cui nessuno osava avvicinarsi: una storia antica, millenaria, scritta sul suo volto attraverso segni che solo un occhio attento può distinguere e rispettare.
Una sola persona in tutto il mondo conosceva quella storia ed avrebbe saputo cogliere quei segni. Quella persona era la sua amica Chiara. Conosceva la storia perché l’aveva vissuta insieme a lui, alla fine di un’estate che sembrava appartenere ad un’altra era geologica. Ma chissà dov’era Chiara, in quale angolo remoto del mondo viveva ora…
Marco camminava rapido con questo pensiero in testa – un pensiero ormai quasi costante negli ultimi mesi – quasi volando attraverso il largo viale che conduceva all’Istituto Tecnico Commerciale “Duca D’Aosta”. Pensava a Chiara e a quel viaggio in corriera verso Roma e quel pensiero lo accompagnava rapido, ma tanto era veloce Marco che persino il pensiero faceva fatica a stargli dietro!
Finalmente a scuola! Le scale correvano veloci e i piedi danzavano allegri un inno alla vita. Oltre il buio, pensava Marco, c’è la luce che non muore mai! Il corridoio che conduceva alla sua aula era tappezzato di poster e scritte colorate, c’erano anche degli autografi di alcuni attori e cantanti poco noti al grande pubblico, c’era una storia che meritava di essere raccontata, ma ora non c’era tempo! …Clop clop clop… I passi veloci e rumorosi cominciarono a frenare il loro impeto! Piano, lentamente, ancora più piano e poi… stop. Il tempo si era annullato, in quel corridoio arrivò un vento gelido e Marco smise di respirare. Gli accarezzò dolcemente i capelli e il suo volto divenne quello del bambino che, mentre ricorda, piange. Ma perché accade tutto così in fretta? Perché non ci è dato di vivere un tempo eterno su questa Terra? Chiara era lì, eterna e fragile, tra le sue braccia, su quella corriera, milioni di anni prima.
Rivide con la mente il sole frizzante e amico del primo mattino, l’autostrada sonnolenta, la sosta in quell’area di servizio. Riassaporò il profumo fragrante delle brioche e dei cappuccini all’autogrill, l’odore dei giornali e dei libri e di quel buffo peluche felino che voleva regalare alla sua amica. Rivisse tutto, compresa l’angoscia della scomparsa di Chiara: incomprensibile, irreale. L’autista lo guardava con aria interrogativa fumando una sigaretta nell’attesa di rimettersi al volante.

La osservò mentre il suo corpo mutava: la trasformazione era in atto. Quel corpo fragile diventava gigante, quasi mostruoso. Nessuno conosceva quel segreto, tranne lui. Chiara non apparteneva a questo mondo; in lei erano scritti i segni di una storia antica portata sulla Terra milioni di anni fa da un popolo di cui solo alcune leggende nordiche narrano l’esodo incerto e disperato. Essi raccontano di un linguaggio simbolico, custodito nei sogni di Chiara e nei suoi ricordi più confusi. Marco possedeva una chiave per aprire le porte a quei ricordi.
La ragazza crebbe a dismisura, divenne enorme, arrivò fino al cielo, ben oltre il muro di recinzione del cortile della scuola. Raggiunse il secondo piano, poi il terzo, arrivò fino al tetto e continuò a crescere. I suoi piedi occupavano metà del cortile deserto. Da lassù, penso curiosamente Marco, poteva vedere tutta la città e non solo quel ritaglio di cielo malinconico e disperato racchiuso dall’edificio scolastico e dai palazzi intorno. E continuava a crescere, ad innalzarsi. Marco era affascinato ed impaurito al tempo stesso. Chiara invece aveva un’espressione impenetrabile, o almeno così gli pareva da laggiù, piccola formichina nel cortile immenso della scuola.
Una mano gigantesca scese a raccoglierlo. Lo sollevò in alto, mentre Marco si aggrappava urlando a un mignolo che riusciva a fatica a circondare con le braccia. Vide scorrere davanti ai suoi occhi – a velocità indicibile – le gambe, la vita, il seno. Chiara era completamente nuda; i resti dei vestiti giacevano in basso, lacerati dalla trasformazione. Quando arrivò all’altezza degli occhi il grido gli morì in gola. Quegli occhi, grandi quanto il mondo, erano così smisurati che Marco non riusciva a leggervi alcuna espressione.
“Guarda com’è bella la città da quassù!” disse Chiara, e la sua voce era tonante, metteva i brividi. Riuscì a comprendere a malapena le sue parole.
Marco guardò la città e comprese che era tutto un sogno. Lo comprese naturalmente solo dopo che si svegliò urlante e sudato nel suo letto.
Erano le 4 di notte.

Solo adesso, in quel corridoio, Marco fece riaffiorare alla mente le immagini del suo sogno e della paura che, anni prima, lo aveva avvolto subito dopo il risveglio. Ma adesso la presenza di Chiara era vera. Nessun sogno, solo realtà e materia sotto i suoi occhi, materia da toccare, da stringere, da osservare lentamente e quasi in silenzio mentre la trasformazione non concede tregua e segue il suo corso. All’improvviso la porta dell’aula si spalancò ed i ragazzi non furono in grado di evitare quanto stava accadendo. Non conoscevano Chiara, ma i colpi sulla porta erano stati talmente forti da far nascere in loro domande e curiosità, e poi era bella l’idea di veder interrotta la lezione di algebra! Diventavano, in un attimo infinito, testimoni dell’evento più incredibile della loro vita, che li avrebbe iniziati a quei misteri su cui l’uomo da sempre si interroga.
Dalla porta fece capolino una creatura che si era vista in qualche libro illustrato di fiabe, la quale gettò un’occhiata incuriosita all’aula prima di fuggire. Quando il professore e gli studenti si affacciarono, videro un mondo alieno che faceva da sfondo all’abbraccio senza tempo e senza domande di un ragazzo ed una ragazza, illuminati da una magica luce crepuscolare che indorava i loro capelli in controluce.

Massimo Acciai & Antonella Pedicelli

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