Prove essenziali per la risarcibilità del danno esistenziale
La domanda di un lavoratore contro Poste Italiane ed INAIL era stata accolta in appello al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti a Mobbing, escludendo però il risarcimento relativo al danno esistenziale.
Il soggetto in questione, pur essendosi laureato in Giurisprudenza, non aveva avuto accesso a nessun corso di qualificazione istituito per i dipendenti, restando così escluso dall’ammodernamento dell’istituto. Inoltre era stato fatto oggetto di iniziative disciplinari, poi conclusesi con l’annullamento delle sanzioni.
Il danno esistenziale non veniva riconosciuto dalla Corte in quanto risultava mancante l’allegazione di prove relativa all’effettiva mutazione in peggio dello stile di vita del soggetto. Lo stesso decide quindi di ricorrere ulteriormente, lamentando la superficialità della decisione della Corte che prima nella sentenza aveva dichiarato provati i fatti dedotti in giudizio, per poi ritenerli non allegati, ed evidenziando come la negazione del diritto esistenziale contraddiceva la giurisprudenza consolidata in tema di risarcimento del danno da demansionamento e mobbing. Entrambi i motivi venivano ritenuti infondati.
La Cassazione, nel decidere la fattispecie esposta e nel formulare quindi sentenza, chiarisce bene cosa debba intendersi per danno esistenziale e in cosa si distingue dal danno morale e biologico. Riportando quanto esposto dalla Cassazione stessa, il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore (propria del danno morale), ma oggettivamente accertabile dal pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso. Il diritto esistenziale infatti, essendo inevitabilmente legato alla persona, e non essendo quindi determinabile secondo il sistema tabellare (a cui ci si riferisce per determinare il danno biologico) necessita di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l’alterazione delle sue abitudini di vita. Non viene ritenuta perciò sufficiente la prova della dequalificazione, dell’isolamento, della forzata inoperosità, dell’assegnazione a mansioni diverse ed inferiori a quelle proprie, perché tali elementi integrano l’inadempimento del datore di lavoro ma, una volta dimostrata questa premessa comunque fondamentale, bisogna poi necessariamente provare tutto ciò che ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore alterandone le abitudini. È quindi sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, cioè la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) a cui il risarcimento deve essere equitativamente commisurato, come sostenuto anche in un’altra sentenza della Cassazione, precisamente la sent. 6572/2006.
Viene quindi solo riconosciuto il danno da perdita di chance in quanto appunto il soggetto non era stato incluso nei corsi indetti per migliorare la sua posizione lavorativa e il danno professionale, cioè la differente retribuzione non corrisposta a causa della mancata progressione economica. Risulta quindi essenziale ai fini del risarcimento del danno esistenziale, allegare le prove da cui sia deducibile che si sarebbero fatte scelte di vita diverse se non fosse intervenuta la circostanza dannosa in questione.
Cassazione civile, sezione lavoro, sent. 23837/2015
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