Prospettive e scenari sull’uso sostenibile della tecnologia solare per la produzione di idrogeno
L’idrogeno è un promettente vettore energetico, destinato negli anni futuri a sostituire l’uso dei combustibili fossili, responsabili in larga parte dell’incremento della concentrazione dell’anidride carbonica in atmosfera, che in varia misura contribuisce al surriscaldamento globale del pianeta. Il vantaggio dell’idrogeno è che pur non essendo presente in natura può essere prodotto facilmente, scindendo le molecole dell’acqua nelle molecole elementari di idrogeno ed ossigeno, purchè si abbia a disposizione l’energia necessaria. Successivamente, quando l’idrogeno viene utilizzato, si produce nuovamente acqua per cui il processo può continuare indefinitamente. Ad oggi, tuttavia, non sono ancora disponibili dei processi di produzione, alimentati da fonti energetiche non fossili, che siano economicamente confrontabili con gli attuali processi produttivi quali per esempio lo steam reforming del gas naturale, a basso impatto ambientale e tecnicamente consolidati. In particolare la produzione di idrogeno da fonte solare è tecnicamente possibile per mezzo dell’elettrolisi dell’acqua alimentata dall’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici; tale soluzione ha attualmente una valenza prevalentemente dimostrativa, in quanto i costi di produzione risultano estremamente elevati[1]. Ciò è dovuto sia all’elevato costo del kWh da fotovoltaico, sia all’incidenza dell’ammortamento degli impianti di elettrolisi, che verrebbero utilizzati solo per una parte (~1/4) della loro potenzialità (la discontinuità della fonte primaria fa sì che l’energia equivalente estratta è pari a poco più di 2000 ore a regime, su un totale teorico di 8760 disponibili in un anno).
Le tecnologie e i costi
Una possibile valida opzione per la produzione di idrogeno da fonte rinnovabile è costituita dall’uso dei cicli termochimici alimentati da energia solare concentrata.
La peculiarità dei cicli termochimici è basata sulla possibilità di eseguire la scissione dell’acqua in molecole di idrogeno e ossigeno, mediante una sequenza di reazioni cicliche, che lavorano a temperature notevolmente più basse della termolisi diretta (dissociazione della molecola attraverso la sola somministrazione di energia termica) e che rigenerano, ad ogni ciclo, i reagenti iniziali. La termolisi diretta, infatti, necessita, per ottenere rese accettabili, di temperature intorno ai 4000°K e pone ardui problemi alla separazione dell’idrogeno ed ossigeno prodotti; tali vincoli tecnologici rendono questo metodo, per il momento, non praticabile.
Nel corso degli anni, molti cicli termochimici sono stati proposti, ma solo alcuni hanno mostrato caratteristiche compatibili con un possibile utilizzo a livello industriale. Questi cicli possono essere classificati in diverse tipologie, a seconda degli elementi chimici prevalenti coinvolti. Attualmente le attività di ricerca e sviluppo a livello mondiale sono principalmente indirizzate allo sviluppo di processi basati sullo zolfo e sugli ossidi metallici.
Per quanto riguarda la famiglia dello Zolfo, il ciclo termochimico Zolfo-Iodio sembra, al momento, il più promettente e diversi enti di ricerca quali General Atomics (USA), Sandia (USA), CEA (Francia), Jaea (Giappone) ed ENEA stanno lavorando alla ricerca e sviluppo di impianti a diversi livelli di scala. Questi impianti, possono essere alimentati da energia prodotta da fonte nucleare o da fonte solare; l’ENEA sta sviluppando la versione solare. Questo processo chimico si basa sulle seguenti tre reazioni chimiche, condotte a tre differenti livelli di temperatura:
– Reazione di Bunsen (esotermica a 20-120°C):
2H2O + I2 + SO2 à H2SO4 + 2HI
– Decomposizione dell’acido iodidrico (leggermente endotermica, a 300-450°C):
2HI à I2 + H2
– Decomposizione e vaporizzazione dell’acido solforico (endotermica, a 800-900°C):
H2SO4 à H2O + SO3 à H2O + SO2 + ½ O2
Il risultato netto delle tre reazioni è la produzione di idrogeno e di ossigeno con il solo consumo di acqua, mentre i reagenti quali iodio ed anidride solforosa vengono riciclati completamente all’interno del processo.
Un’altra categoria di cicli termochimici si basa sull’ossidazione/riduzione di metalli. Tali cicli sono molto interessanti, perché fanno uso di poche reazioni (2 o 3) e non pongono particolari problemi di corrosività da parte delle sostanze coinvolte; in generale questa classe di processi è ad una fase di sviluppo meno avanzata e per la maggior parte di essi sono richieste temperature più alte rispetto ai cicli basati sullo zolfo. Le due principali reazioni coinvolte riguardano la produzione dell’idrogeno dall’acqua a spese dell’ossidazione di un metallo e, successivamente, la riduzione dello stesso con produzione di ossigeno. Un interessante ciclo di questo tipo è quello basato sulle ferriti miste di manganese, studiato inizialmente in Giappone [2] e successivamente ripreso e modificato dall’ENEA ([3], [4]). Per quanto riguarda la tipologia di impianti solari in grado di alimentare i processi termochimici, possono essere considerate 3 diverse soluzioni impiantistiche:
torre con ricevitore centrale; collettori parabolici lineari; paraboloidi di rotazione.
La tecnologia solare basata sulla torre con ricevitore centrale (figura 1) permette di raggiungere elevati rapporti di concentrazione della radiazione solare ed alte temperature nel ricevitore solare. Essa è basata su un sistema di specchi che segue il movimento del Sole su doppio asse (eliostati) e riflette l’energia solare ad un ricevitore fissato alla cima di una torre localizzata nel centro del campo. Il trasporto di calore al ciclo è affidato ad un fluido termovettore, che, a seconda dei casi, può fungere da accumulatore termico o può essere un costituente del processo termochimico stesso. Le potenze massime raggiungibili sono dell’ordine di varie centinaia di MW per ricevitore.
La tecnologia solare (figura 2) dei collettori parabolici [5] lineari, ha la possibilità di inseguire la radiazione solare su un solo asse di rotazione e raggiunge fattori di concentrazione inferiori, con temperature che in genere non superano i 450°C. Questa tecnologia è attualmente quella impiegata in applicazioni per la produzione di energia elettrica, i cosiddetti SEGS (Solar Electric Generating Systems) che sono in funzione in California dal 1984. Dal 2001 anche l’ENEA è entrato nel settore, con un programma di ricerca e sviluppo finalizzato alla realizzazione di questa tipologia di impianti per la produzione di calore ad alta temperatura, destinati a generare sia energia elettrica che idrogeno. Peculiarità della tecnologià in sviluppo presso l’ENEA è l’uso di miscele di nitrati fusi come fluido termovettore al posto dell’olio diatermico correntemente utilizzato nei SEGS. L’uso dei sali consente di raggiungere temperature nettamente superiori, oltre a consentire un efficiente sistema di accumulo termico [5]. A differenza degli impianti a torre, i collettori parabolici lineari permettono una maggiore modularità degli impianti che in teoria non hanno limiti superiori per la propria potenza.
La tecnologia dei dish, consente i più alti rapporti di concentrazione, con conseguenti alte temperature; il limite intrinseco è la bassa potenza erogabile, dell’ordine, al massimo, di qualche centinaio di kW per ricevitore.
Dal momento che il processo Zolfo-Iodio richiede, per la dissociazione dell’acido solforico, una temperatura di circa 850°C, mentre per le altre apparecchiature sono sufficienti temperature inferiori ai 500°C, si potrebbe pensare di realizzare un impianto solare con 2 torri centrali o con un impianto a torre centrale ed uno a collettori parabolici lineari. Il primo sarebbe deputato all’alimentazione di un impianto chimico discontinuo (dissociazione dell’H2SO4) che, pur lavorando 8 ore al giorno, può essere dimensionato per produrre la SO2 necessaria al secondo, che invece opera continuamente per 24 ore al giorno. Questa configurazione necessita di due serbatoi di stoccaggio: uno per l’SO2 (pressione di esercizio di 7 bar e temperatura di 25°C) e uno per l’H2SO4 (pressione atmosferica e 25°C). L’impianto solare, che garantisce l’energia a media temperatura, richiede un accumulo termico di 16 ore allo scopo di garantire che la produzione di idrogeno possa aversi anche durante le ore notturne o di scarso irraggiamento. Un forno di back-up, che utilizza energia proveniente da risorsa fossile, è auspicabile per garantire la marcia dell’impianto anche per periodi lunghi di scarsa insolazione. La produzione di idrogeno con cicli termochimici alimentati da energia solare concentrata si realizza quindi con due sottosistemi fondamentali: l’impianto chimico e l’impianto di captazione, concentrazione ed eventualmente di accumulo dell’energia solare. Il processo termochimico è innovativo e alcune apparecchiature richiedono materiali specifici, ma la maggior parte dei componenti è di tipo commerciale e largamente usato nell’industria petrol-chimica. Le attività di ricerca in questo settore sono mirate sia alla messa a punto di processi affidabili ad alta efficienza che alla riduzione dei costi, prevalentemente per la parte solare ove si possono realizzare le più significative riduzioni. Valutazioni economiche del costo di produzione dell’idrogeno, con processi termochimici alimentati da energia solare, hanno evidenziato una significativa influenza della componente insolazione della zona nella quale verrebbe costruito l’impianto.
Le previsioni dei costi relative al periodo 2020-2030 nel quale la tecnologia solare a concentrazione potrebbe essere supposta matura e il costo degli eliostati significativamente ridotto (dal corrente 186 $/m2 ai 70 $/m2, per la tecnologia a torre solare), hanno quantificato in circa 0.11-0.12 â’¬/kWh il costo di produzione dell’H2 per impianti localizzati nell’Europa meridionale, supponendo un tempo di ammortamento di 20 anni [6]. Tale valore potrebbe essere sensibilmente ridotto se l’idrogeno fosse prodotto in Nord Africa per le migliori condizioni di irraggiamento solare (in intensità e durata), di disponibilità dei siti e per il minor costo della manodopera. Andrebbero in questo caso valutati vari tipi di trasporto dell’idrogeno stesso ed i relativi costi. A medio lungo termine la localizzazione di questi impianti in aree come il Nord Africa consentirebbe di utilizzare l’inesauribile e immenso potenziale energetico costituito dalla radiazione solare nelle aree sahariane che rende potenzialmente estremamente attrattiva tale possibilità. Tali prospettive necessitano però di attente valutazioni di carattere geo-politiche e sociali che andrebbero approfondite a vari livelli e la cui gestione diverrebbe fondamentale per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e gli equilibri dell’area mediterranea.
[1] Lipman T.E. What Will Power the Hydrogen Economy? Present and Future Sources of Hydrogen Energy, UCD-ITS-RR-04-10, Institute of Transportation Studies – Davis One Shields Ave., University of California, July 2004
[2] Y. Tamaura, S. Steinfeld, P. Kuhn, K. Ehrensberger, Energy 20 (1995) 325
[3] F. Padella, C. Alvani, A. La Barbera, G. Ennas, R. Liberatore, F. Varsano; Mechanosynthesis and process characterization of nanostructured manganese ferrite;Materials Chemistry and Physics 90 (2005) 172“177
[4] C.Alvani, C.Annunziatini, A.LaBarbera, F. Padella, L.Seralessandri, F. Varsano New eviences on water thermolysis promoted by a ferrite-carbonate system, Proceeding International Energy Congress and Exhibition IHEC 2005, Istambul, 13-15 July 2005
[5] E. Metelli, M. Vignolini Energia solare termica a concentrazione, Energia, Ambiente e Innovazione, novembre-dicembre, 2005
[6] Cost Reduction study for solar thermal power plants, report prepared for the World Bank, Washington, D.C., 1999.
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento