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Pro Vita: ecco le storie di chi non vuole essere aiutato a morire

Luglio 21
11:37 2022

Coghe (Pro Vita & Famiglia): «Chiediamo che lo Stato ascolti le voci di chi vuole continuare a vivere, fornendo ai malati e alle famiglie il supporto e l’assistenza medica e psicologica che necessitano»

La legge n. 38 del 2010 stabilisce che le cure palliative rappresentano un diritto inviolabile di ogni cittadino. In Italia, però, solo 1 persona su 4 riesce a ottenere quest’assistenza, con alcune regioni come Calabria o Campania, in cui la copertura è di appena 18%. Un dato che troppo basso, soprattutto se paragonato a quello di Germania e Regno Unito che raggiungono rispettivamente il 64% e il 78%.

Pro Vita & Famiglia Onlus, che promuove i valori della vita, dal concepimento fino alla morte naturale, in un momento in cui l’attenzione pubblica è concentrata sull’approvazione del DDL Bazoli sul fine vita, chiede che lo Stato non dimentichi chi non vuole il suicidio assistito, ma continuare a vivere, con dignità. 

«Chiediamo che lo Stato investa non certo nei farmaci per porre fine alla vita di chi soffre, ma in quelli che ne allevino le pene. Chiediamo che siano aiutati a vivere, non a morire», spiega Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus. Tante sono le testimonianze raccolte dall’Associazione. Storie che vedono il 70% di queste persone in attesa di cure palliative che non riescono ad avere.

Come Andrea Turnu, in arte Dj Fanny. Il 29enne, dal gennaio del 2016, è affetto da SLA e non è più autosufficiente. Rispetto a Dj Fabo, Andrea ha fatto una scelta differente. Non una contrapposizione tra una storia e un’altra – ci tiene a sottolineare – ma una scelta diametralmente opposta. «Credo in maniera molto forte nella scienza e nella ricerca. Una delle mie missioni è proprio quella di sensibilizzare in questo senso le persone». Con il suo progetto “My Window on the Music“, Dj Fanny è nella top 20 dei brani più scaricati da iTunes e ogni download porta fondi alla ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica di Aisla.

Matteo Nassigh non può camminare, parlare o mangiare da solo. Ha un suo blog (https://matteonassigh.com/) con il quale, nonostante tutto, celebra la vita. Le persone – scrive – hanno paura di soffrire, perché pensano che la sofferenza non porti nulla, non vogliono soffrire, ma provare solo sentimenti di felicità, piacere e gioia. Invece, la sofferenza può aiutare moltissimo a imparare delle cose su di noi e sulla vita e a farci scoprire cose che prima non notavamo perché eravamo troppo impegnati ad essere felici. La vita per lui dovrebbe essere felice, ma se la sofferenza viene, non bisogna solo pensare che sia una cosa molto brutta…

Amina, invece, ha 39 anni ed è costretta a letto a causa di una diagnosi e di una cura sbagliata, che le hanno provocato una condizione patologica gravissima e rara quando aveva 2 anni. Da allora necessita di assistenza continua, fornita da sua madre, Rita Basso. Dal 2008 la donna chiede l’assistenza domiciliare perché, in una struttura pubblica, Amina non può ricevere cure adeguate. Una storia di inefficienza, ingiustizia e indifferenza da parte dello Stato, ma anche di sacrifici. «Non mi arrendo – afferma Rita – anzi, sul mio profilo facebook ho invitato i nostri sostenitori ad un “tam tam” mediatico, tramite foto con l’hastag #iostoconamina con cui si insiste nel richiedere l’assistenza domiciliare per mia figlia. Una battaglia che non ho nessuna intenzione di mollare». I sacrifici di sua madre sono la miglior risposta tutti gli haters che sui social scrivono «Falla morire».

Marie Perrin, francese innamorata dell’Italia, sceglie di trasferirsi e aprire un’agenzia di viaggi a Roma. A infrangere il sogno, la malattia che l’accompagna da quando ha 16 anni: la nevralgia del pudendo. Una patologia che la costringe sulla sedia a rotelle e che si aggrava con lo stress. Nessuno l’aiuta, non ha diritto a nessun supporto. Tenta di curarsi in Italia ma i medici le prescrivono esami che non hanno nulla a che fare con la situazione. Per convivere con il dolore e continuare a lavorare, Marie è costretta a usare la morfina. Una sera, rincasando sola con il taxi, arriva a pensare al suicidio. Poi la decisione di tornare in Francia dove, finalmente, sta ricevendo la giusta assistenza. In Italia, la 36enne è stata ingabbiata da una burocrazia piena di falle ma, a parte un unico pensiero di rassegnazione, non ha mai perso la speranza. Marie vuole continuare a vivere!

«Nessuno va lasciato solo di fronte alla malattia – conclude Coghe ma l’applicazione della legge 38/2010 che garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore è rimasta colpevolmente indietro. Per questo il Parlamento ha il dovere, non più rimandabile, di incentivarne l’accesso, così come l’uso degli Hospice. È assurdo che, invece, c’è chi proponga l’esatto contrario. Stato e medicina devono stare accanto a chi soffre, ai malati, ai più deboli e fare di tutto per alleviare le sofferenze, non per eliminare il sofferente».

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