Privatizzazioni: servizi o debito pubblico?
C’era una volta (così iniziano le belle storie) il servizio pubblico. Nello Stato e nelle amministrazioni locali erano presenti servizi sociali dedicati ai meno abbienti, assistenza domiciliare ed educativa, sistema sanitario nazionale. Per effetto dell’economia il privato ha avuto il sopravvento e il pubblico è divenuto improduttivo. Su queste basi è partita la grande privatizzazione nazionale dei servizi, con l’obiettivo di aumentare l’efficienza operativa e, conseguentemente, diminuire la spesa pubblica. Ma è proprio così?
La legge che interessa l’assistenza sociale, come tutte le leggi italiane, naviga in un arcipelago di ‘isolotti’ dove non si trovano porti per attraccare, bensì rimandi di legge in legge (L. 142/90, L. 104/92, L. 883/78, e di rimando in rimando). Negli enti locali la presenza dell’assistente sociale era, ed è, punto di riferimento per i servizi socio-sanitari dei cittadini. Gli affidamenti dell’assistenza educativo-culturale sono in gran parte esternalizzati principalmente a cooperative o consorzi, al cui interno sono previsti gruppi di lavoro (assistenti e insegnanti) con personale altamente qualificato. Sulla carta tutto risulta coordinato e gli attori in campo sono: ente pubblico, cooperativa o consorzio, lavoratori. I cittadini sono i fruitori del servizio.
Da una ricerca effettuata tra gli operatori, si evince uno scollamento tra costi, servizio e retribuzione degli operatori. Il servizio viene appaltato con prestazioni ‘a ore’, così come il rapporto lavorativo con formula ‘a tempo indeterminato a ore’. Formule che a volte non trovano un coordinamento con la professionalità degli assistenti. Nei Comuni investire nel sociale trova un ostacolo nei finanziamenti vincolati dal patto di stabilità, o impantanati in bilanci nei quali la voce ‘sociale’ resta ancorata alla spending review. La legge 142 individua nei Comuni (anche riuniti in consorzio) gli interventi sociali e sanitari previsti, demandando agli statuti comunali le modalità di attuazione.
È possibile individuare in San Cesareo un Comune attivo nel sociale. L’appalto è destinato all’affidamento del «servizio di assistenza domiciliare e del servizio di assistenza educativo», con un impegno economico di circa un milione di euro l’anno (importo a base di asta). Sono impegnati nel servizio oltre 15 operatori del sociale, inquadrati nella cooperativa o consorzio che si aggiudica l’appalto. Tutto sembra essere lineare e coerente con gli indirizzi legislativi; ma da un’analisi più approfondita, il rapporto servizi-costo non risulta equo.
Come detto, l’appalto è determinato da una formula ‘ora lavoro’. L’appaltatore riceve un prezzo orario di 19,46 euro lordi (Iva 4% esclusa). L’operatore sociale (il lavoratore) riceve 8,50 euro lordi. 10,96 euro sono in cerca di giustificazione. Non bisogna dimenticare la formula del contratto definito: a tempo indeterminato a ore. Ciò significa che il contratto segue tempi e ore scolastiche (necessarie per assistenza sociale), restando scoperte le vacanze previste nell’anno scolastico, quando i lavoratori non ricevono retribuzione. Altro particolare non trascurabile è l’erogazione dello stipendio ai lavoratori, che per motivi inspiegabili viene accreditato con ritardi che possono arrivare a due mesi e più.
A questo punto viene da chiedersi: con un investimento di circa un milione di euro, quanti operatori sociali e per quanto tempo può disporre un’amministrazione in un anno? Facendo un semplice calcolo possiamo dire che 15 lavoratori con stipendio lordo di 3000 euro (quasi un sogno), costano alle casse pubbliche 540.000 euro (calcolo semplice, al quale sono sicuramente da aggiungere altri costi organizzativi). Vi è un altro particolare di cui tener conto: parliamo di operatori presenti nell’intero anno lavorativo, durante il quale un’amministrazione può offrire assistenza sociale ai cittadini con centri estivi o nei periodi di vacanza, come servizio per chi lavora o per recuperi scolastici. Ad ogni modo si evidenzia che, anche con costi superiori, si può dare un servizio completo ai cittadini, ottenendo un risparmio per la casse comunali. La moltiplicazione degli attori per un servizio, più che migliorare il servizio fa lievitare i costi generali dei servizi sociali. Nei tempi in cui il Jobs Act sembra essere la parola d’ordine, viene da domandarsi se questo produca lavoro e servizi per i cittadini. Anche un’amministrazione sensibile verso i problemi del sociale può trovare nelle leggi nazionali un ostacolo ai servizi.
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