Prima dell’Onda, dopo il ’77
L’ultima fatica letteraria di Maria Lanciotti ha per titolo Storia di un cantastorie, sottotitolo Daniele Mutino, una fisarmonica itinerante (Edizioni Controluce). E veramente dev’essere stata per lei un’enorme fatica sbobinare e organizzare le duecentocinquanta e più pagine che compongono l’intervista, che chiamarla intervista ci sembra proprio riduttivo. Perché Daniele Mutino – il nomen omen qui non vale – è un fiume in piena, un maremoto, un Sor Ciceri al cubo dopo lo scoppio della bombola, è il dollaro fatale che Zio Paperone, ignaro, getta nel deposito, provocando così il collasso dell’intera struttura.
Questo libro è un po’ come quel dollaro in più: fa spalancare sotto i nostri piedi una voragine di ricordi, di sensazioni, di cicatrici mai completamente rimarginate e che, almeno per chi ha attraversato o anche solo sfiorato i movimenti politici dagli anni Sessanta in poi, fino alla recente Onda e ai movimenti per la casa, passando per quello altermondialista di Seattle e di Genova, induce a ripercorrere e a ripensare avvenimenti che hanno segnato diverse generazioni di ragazzi e ragazze, di donne e uomini che hanno pagato più che duramente il tentativo di vivere una vita migliore e più giusta. Questo libro, dunque, è un libro di ricordi, di aspirazioni e di battaglie, un avviso ai naviganti in un mare in tempesta, intervallato da domande apparentemente ordinarie che originano però risposte profonde e circostanziate a un punto tale che, con un margine temporale di pochissimi minuti, potremmo riuscire a identificare con precisione il giorno e l’ora in cui certi episodi sono avvenuti.
È certamente un libro sulla musica, su un tipo di musica, quella dei cantastorie, dei menestrelli, dell’amor cortese e dei trovatori, che con l’Italia ha molto a che fare, dal momento che tutto, dalla Commedia dell’arte a quella dell’arrangiarsi, sembra fiorire e nascere nel nostro Paese. Ma il fatto di parlare di musica agisce qui da detonatore (stavo per scrivere détournement) e apre a scenari più ampi, immense praterie da ripercorrere con occhi nuovi e orecchie appizzate. E la parola chiave che può riassumere e condensare, per quel poco che si può, il nuovo libro della Lanciotti è sicuramente ribellione. Una ribellione personale, nel caso di Daniele, a un futuro indirizzato dalla famiglia e dai suoi insegnanti che lo avrebbero voluto concertista classico di pianoforte.
Una ribellione, dicevamo, strettamente individuale, sincera, e che richiama altre rivolte, altre ribellioni, che nel corso del tempo hanno visto gente senza credito, i senza potere, le “classi subalterne” come si sarebbe detto una volta, affacciarsi al proscenio della Storia per provare ad averla per sé, anche per un breve, folgorante periodo. E allora vengono alla mente le rivolte contadine del ‘500 represse dai Principi tedeschi, la Comune di Parigi stroncata con le fucilazioni di massa, le cannonate di Bava Beccaris contro chi chiedeva il pane, i blindati a Bologna nel ’77 e quelli a Genova nel 2001.
Anche Daniele Mutino ha incontrato la sua porzione di storia e il suo Movimento, alla Sapienza nel ’90, che si chiamava “La Pantera”, rifacendosi un po’ al Black Panther americano e un po’ al felino, vero o falso non importa, che vagava nelle campagne intorno a Roma dopo essere fuggito dalla gabbia di un circo. Ora che anche quel movimento studentesco non esiste più, Mutino lo ricorda con parole d’affetto, perché proprio quel Movimento, fatto di persone e istanze nuove, lo avrebbe spinto a percorrere le strade del mondo in compagnia della sua fisarmonica, andando incontro all’altro, al rom, all’immigrato, al disagiato, tra Ester/Estelline e Cosacchi smarriti sulle rive del Don.
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