Premio Strega: Emanuele Trevi non ci sta!
1947. Nel salotto letterario di casa Bellonci, Maria Bellonci e Guido Alberti danno vita al più importante riconoscimento che un autore italiano di narrativa possa ricevere: il Premio Strega. Gli “Amici della domenica”, quattrocento uomini e donne di cultura, sono il corpo elettorale chiamato a definire prima i finalisti del Premio, dato che ogni titolo deve essere presentato da due giurati, e poi il vincitore. Per l’edizione 2013, il Comitato direttivo del Premio Strega, con a capo il presidente Tullio De Mauro, ha designato otto nuovi Amici, fra i quali Alessandro Piperno (Premio Strega 2012) e Massimo Gramellini (vicedirettore de “La Stampa” e scrittore). Da questa giuria, però, sembra prendere le distanze lo scrittore Emanuele Trevi, negli Amici della domenica fin dal 1994. L’anno scorso, con Qualcosa di scritto edito da Ponte alle Grazie, contro ogni previsione, non vinse il Premio per pochi voti.
Oggi, a chi lo accusa di criticare i meccanismi di scelta dei titoli e di premiazione soltanto adesso risponde che lui queste critiche le aveva già fatte. Trevi, infatti, ha sempre sostenuto che il Premio sia «una grande competizione fra editori… dove i minori sono fastidiosi come i maggiori». Un concorso, come sostiene anche lo scrittore Gianrico Carofiglio, capace di portare uno straordinario incremento nelle vendite, che certo non può essere disdegnato da autori e editori. Proprio gli editori, però, sono al centro delle varie polemiche: accusati di esercitare forti pressioni sui giurati, di fare telefonate per chiedere voti. Telefonate che lo stesso Trevi definisce «pietose. Si arriva perfino alla maldicenza.» La sensazione di Trevi è che siano gli editori a spartirsi la finale, quando dovrebbero invece fare un passo indietro a vantaggio di una riqualificazione della giuria che dovrebbe scegliere i libri secondo criteri di qualità e non secondo le logiche di marketing seguite dalle case editrici. In un’intervista a Repubblica, Trevi dichiara: «Non mi piace un premio in cui il candidato è stato stabilito dalle case editrici, che scelgono i loro cavalli di battaglia e in cui molti giurati sono stipendiati dagli stessi editori che poi gli chiedono il voto. Il criterio va ribaltato: sono i giurati che debbono battersi per i libri in cui credono.» Che sia questo il momento giusto per promuovere un cambiamento? Trevi esprime quindi un disagio, una mancanza di serenità nel formulare liberamente un giudizio attribuita proprio agli editori: «Non prendo parte a un premio malato, che non risponde a un criterio culturale di qualità. Lo Strega va sottratto alla logica del mercato e al mondo del potere, dal quale finché possibile voglio vivere al riparo.»
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