Povertà e crisi ricorrenti del capitalismo
La povertà non è soltanto e semplicemente uno stato di grave privazione e di afflizione materiale, bensì pure di sofferenza interiore. È un motivo di vergogna e di imbarazzo, per cui si fa di tutto per celare tale situazione assai deprecata in una società capitalistica e consumistica, che esalta l’ideologia del benessere e del mercato, il potere ed il prestigio derivanti dal denaro. Non a caso, la percentuale dei “poveri invisibili” è in costante aumento. Essi ci sono e subiscono, ma in silenzio, sopraffatti da un senso di profondo disagio e di mortificazione morale per l’umile condizione economico-esistenziale in cui sono precipitati. Si tratta di individui che fino ad ieri godevano magari di un’esistenza agiata, di successi e privilegi, ma improvvisamente sono stati costretti nell’abisso della povertà dalla crisi economica e sociale. Si tratta di persone che hanno perso la casa ed il lavoro, accusando gli effetti dolorosi della crisi, per cui hanno difficoltà a mantenere sé stessi e le proprie famiglie. Erano persone disabituate alla povertà, ma sprofondate bruscamente in uno stato miserevole di bisogno e di ristrettezze materiali. Le ragioni strutturali delle crisi sono insite in quella logica cinica che regola il mercato capitalistico su scala globale. Le cause più profonde delle crisi economiche ricorrenti nel sistema capitalista sono da ricercare nei perversi e feroci meccanismi di rapina ed espropriazione, che determinano una redistribuzione diseguale delle ricchezze sociali. Si tratta di ingranaggi assai disumani ed implacabili nella loro crudele ed arida “razionalità”, in quanto funzionano ad esclusivo vantaggio delle élites economiche dominanti. Élites che fanno capo all’alta finanza capitalista globale, entità anonime e cosmopolite, corporation monopoliste che vantano ed accumulano ricchezze colossali e gestiscono bilanci superiori persino a quelli degli Stati nazionali più potenti del pianeta.
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