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Poveri tutti noi

Dicembre 07
23:00 2009

I media ne hanno parlato in queste ultime settimane anche se non esaustivamente. I dati sono stati tratti da un’approfondita indagine realizzata dalla “Fondazione per la Sussidiarietà” insieme alle Università “Cattolica” e “Milano-Bicocca” e dall’accurata analisi della “Rete della Fondazione Banco Alimentare” italiano. Eppure si tratta di un argomento che riguarda tutti. Senza esclusione di colpi. I soggetti ed oggetti del contendere sono i cosiddetti «poveri». L’incubo è uno di quelli ancestrali: la povertà. Assoluti e totali. Numeri pesanti alla mano: tra i due milioni e mezzo ed i tre di persone che, letteralmente «poveri tra i poveri», in Italia non hanno nulla e non sanno mettere insieme il pranzo con la cena o per meglio dire un straccio qualsiasi di introito economico minimamente decente. Otto milioni e 78 mila, invece, gli individui un po’ meno “sfortunati”, ad ultima stima del 2008, il cui standard soprattutto alimentare risulta meno scarso dei poverissimi su citati. «Soglia di povertà alimentare», la chiamano. Od anche la dieta dei poveri, con uno «scontrino mensile [che] non prevede più di 28 euro di pane e cereali, 35 di carne e salumi, 14 di frutta, 10 di pesce, 14 di frutta e 9 di bevande». «…Un reddito tale da garantire una qualità della vita “minima”. Un tetto di spese per beni e servizi al di sotto del quale si rischia l’esclusione sociale – se non la sopravvivenza – e che varia a seconda di quanti si è in famiglia, dell’età che si ha e di dove si abita». E così, come d’uopo, l’Istat gira il coltello nella piaga e parla di circa un 4,4 per cento (2 milioni 427mila) di connazionali che mangiucchia o salta i pasti, non ha mezzi propri di trasporto, vede il medico e le medicine ad ogni morte di papa. «Povertà ancora dignitosa o nera miseria»? ci si e vi si domanda. I dati, lo ripeto, sono raccapriccianti: «Le soglie di povertà alimentari oscillano nel Settentrione tra i 233-252 euro al mese, nelle regioni centrali tra i 207-233 euro, mentre nel Mezzogiorno tra i 196-207 euro. In particolare, gli estremi sono occupati dal Trentino Alto Adige, la regione più cara d’Italia in termini di alimenti, dove una famiglia di due componenti deve spendere almeno 252 euro al mese in cibo per mantenere una dieta adeguata, e dalla Campania, dove la stessa famiglia può spendere 56 euro in meno al mese per acquistare lo stesso paniere di beni». E l’incidenza di disparità tra il Nord ed il Sud Italia, isole comprese, è pari ed oltre al 10%. Le categorie a rischio sociale sono, come sempre, le rappresentanze più deboli e silenziose se non fantasma: anziani soli od in coppia oltre i 65 anni, nuclei familiari con più figli e con minori o disabili, basso grado di istruzione, rilevanza di disoccupazione o ricerca di primo impiego, pagamento mensile di quote d’affitto, attività lavorative definite di manovalanza o di categoria professionale operaia. Inoltre «la povertà è legata alla solitudine e quindi alla perdita dei legami – spiega Giorgio Vittadini, presidente della su citata Fondazione per la Sussidiarietà – quando si perde il lavoro, quando si rompe il nucleo familiare, quando si è anziani e senza figli vicini, quando si è disabili e malati, quando non ci si inserisce perché immigrato, si perde speranza, fiducia e capacità di costruire e quindi si scivola nella povertà. È un problema prima culturale che economico». Se a questi aggiungiamo quegli altri 89 milioni di miseri esseri in giro per il mondo e monitorati dalla “Banca Mondiale dell’Alimentazione”, le prospettive tutto sono tranne che rosee… Che fare e soprattutto con quale tempistica? Come arginare ad hoc situazioni a rischio che potrebbero inevitabilmente cronicizzarsi, a lungo andare, nel nostro tanto autorevole e civilizzato paese? Come potenziare strutture pubbliche, private e volontarie di assistenza su tutto il territorio? Ma soprattutto perché non si fa o vuol fare? A voi, lettori, formulare una risposta… In tutta sincerità non ho a disposizione, allo stato attuale, conigli bianchi, bacchette magiche o cilindri di seta neri…. Solo quel solito e spietato pensiero “poundiano”: «Qui, l’errore è tutto nel non aver agito, nella diffidenza che fece esitare»… Se diffidenza è il termine che vogliamo usare. «Nulla è scandaloso quanto gli stracci e nessun crimine è vergognoso quanto la povertà» (George Farquhar)

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