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“Post Mortem”… ed illusioni dure a morire

Ottobre 05
13:30 2020

Rende più un cadavere che un vivente, questa è la realtà che si è
andata formando in millenni di ipotesi sulla morte. Certo non si
spendono più cifre “faraoniche” per la costruzione di piramidi e
mausolei, ma in compenso la spesa funeraria è andata
“democraticamente” uniformandosi alla massa. E gli affari non si fanno
solo sul cadavere ma anche sull’anima del cadavere, che viene
allettata da varie religioni a compartecipare ai variegati paradisi ed
inferni.

Per i “credenti” ci sono le messe di suffragio, le preghiere pro
defunti, le cerimonie per gli avi, magari pure il
martirio-assicurazione di salvezza. Sapete che furono i cinesi ad
inventarsi la prima cartamoneta? Ma non serviva per le transizioni
commerciali fra esseri viventi, no, era utilizzabile solo nel post
mortem, dove c’erano apposite banche di scambio che finanziavano i
piaceri dei cari estinti nei vari paradisi buddisti, taoisti,
confuciani od animisti.

Roba da mettersi le mani nei capelli… (se ancora resistessero nelle
tombe) oppure da sganasciarsi dalle risate (dipende dalle propensioni
filosofiche).

Suvvia, oggi viviamo nel secolo della tecnologia e della scienza, per
cui certi progetti sull’oltretomba (paradisi, inferni, limbi,
purgatori, etc.) hanno meno appeal e trattandosi di un secolo
“materialista” ecco quindi che molti degli affari si fanno sul
cadavere, imbellettato, profumato, con esequie first class, bare e
sarcofagi sontuosi, forni e fornetti, per non parlare di depositi
crioenergetici in standby, ipotesi di sepoltura nello spazio,
cremazioni con fiori di gelsomino, mourning e processioni a pagamento
e vai col vento!

La morte è il più grosso affare della storia umana. Soprattutto oggi!

Dai tempi più remoti, da quando cioè ci si illuse che è possibile
“ingannarsi” sulla scomparsa dell’io individuale o sulla
procrastinazione della vita corporale, l’uomo ha continuato a seguire
il mito della lunga vita o della vita oltre la vita. Pian piano
offuscato il miraggio della immortalità fisica (ma ancora ci si prova
con i trapianti, etc.) ecco che l’uomo si è adattato a credere nella
continuazione dell’io in un aldilà.

Le varie leggende narrano di come gli eroi della specie abbiano
tentato il tutto per tutto per sopravvivere a se stessi ed ove non
bastava il medico, lo stregone od il dio miracolante, ci pensava
l’imbalsamatore a preservare quel simulacro corporale buono almeno ad
illudere i superstiti, i sopravvissuti in attesa di… Ogni civiltà ha
avuto il suo stile nell’affrontare la morte ma la fede verso un
oltretomba ha continuato e continua a consolare frotte di morienti.

Vediamo ora come mai è così importante per l’uomo voler allungare la
propria vita od al meglio illudersi che non sia finita con il decesso.

La paura della morte è della scomparsa di sé, la perdita
dell’auto-consapevolezza riferita ad una specifica forma e nome.
Chiaramente la brama esistenziale è alla base di questo processo, ciò
è riscontrabile non solo nel caso di desiderio di prolungamento della
vita fisica ma anche nella speranza della continuazione in altra
dimensione. Paradossalmente questo è il caso anche dei suicidi che
apparentemente rifiutano la vita ma sostanzialmente sperano in un
prosieguo più sopportabile (non solo i kamikaze ma pure i disperati
che si buttano dal ponte). In effetti nel momento in cui la morte si
avvicina l’attenzione si fa più vivida e non si percepiscono gli stati
di sofferenza ma si sperimenta una forte pulsione adrenalinica in cui
non c’è percezione di angoscia o sgomento (questa è l’esperienza
raccontata dai sopravvissuti ad incidenti, etc.).

Il vero dramma della morte è invece vissuto nei momenti in cui più
forte è la bramosia per la vita. Più l’esistenza ci appare
desiderabile, e la paura di perderla è più forte, maggiore è l’amaro
sapore della morte in bocca.

La morte a volte appare nel bacio appassionato dell’amante che ci fa
temere la sua improvvisa fuga, nel sorriso di un bimbo che mette
malinconia per la sua impermanenza.. o nel profumo d’un fiore, nello
sguardo perso del guerriero, nella poesia estatica che ci solleva dal
mondo, nel frutto che stiamo addentando… La morte in realtà è dietro
ad ogni azione della nostra vita, essa non è altro che la sete di
vita, mai soddisfatta, e di cui sempre angosciosamente si teme la
perdita. La morte è nel nostro desiderio di prolungare il piacere o di
scansare il dolore.

Eh sì, cara morte, tu sei la compagna più fedele dell’uomo!

Ma torniamo all’analisi iniziale e vediamo come è stato possibile, ed
è ancora possibile, che alcuni uomini possano superare questo timore
ancestrale e scansare la speculazione sulla dipartita. Questi uomini,
chiamiamoli saggi, rappresentano il picco evolutivo dell’umanità, la
meta che è il fiore della natura umana. Essi ci insegnano a guardare
oltre le apparenze, ad osservare quel processo “automatico” che ci
porta ad identificarci con quel “corpo” o quella “mente” –ed infatti
anche la mente è una gabbia egoica- ed i saggi non riconoscono alcuna
entità mentale o fisica separata dal tutto che possa andare o venire e
sopravvivere a se stessa. Ed allora cosa resta? Il nulla il vuoto?
Niente affatto… è un “pieno” perfetto che resta, che era è sarà, in
quanto non condizionato dal concetto spazio-temporale.

Il messaggio dei saggi è univoco ed assoluto ed è presente nella
coscienza di ognuno ed è sufficiente riconoscerlo in noi stessi per
scoprirne la verità e la perenne presenza. E poi, dove sono e chi sono
questi “saggi” ove esiste quella unica coscienza indivisa?

A volte si usa il paragone della trasmutazione dell’acqua in ghiaccio
e del ghiaccio in acqua per significare l’apparente trasformazione
della stessa sostanza. L’ipotetica differenza è solo nella densità
mentale dell’osservatore, basta poco calore (od “intelligenza”) per
sciogliere quel ghiaccio… e riconoscerlo per quel che sempre è stato:
acqua nell’acqua. Il solo problema è l’illusione mentale che spinge
l’uomo a riconoscersi in ciò che non è ed a continuare ad illudersi di
poter perpetuare la sua condizione di ghiaccio ed a soffrirne
conseguentemente ed inutilmente.

Ma cosa sarà di questo “mondo” allorché la “conoscenza” avrà raggiunto
tutte le cellule dell’organismo universale? Come faremo a divertirci
nel tramandare la storia vissuta dalle genti? Niente paura, il
bagaglio genetico è sufficiente memoria, inoltre esiste una branca di
ricerca (e se non esistesse me la invento in questo momento) che viene
definita “genetica psichica”, una catalogazione del processo mentale
cristallizzato nella materia.

Questa trasmissione avviene un po’ come per la memoria dell’acqua,
ogni pensiero, azione, propensione, etc. resta stipato in una sorta di
inconscio collettivo, od aura, in cui tutta la memoria passata
presente e futura risiede e da lì viene continuamente ritrasmessa e
resa viva attraverso ogni essere vivente.

Una storiella nella storia.. vi ricordate di Gargantua e Pantagruel
che in visita al polo osservarono delle sfere fluttuanti? Esse erano
le parole ghiacciate pronunciate da tutti gli esseri viventi ed
infatti rompendone l’involucro immediatamente la parola risuonava
nell’aria, per –subito dopo- rapprendersi in un nuovo guscio.

Nulla va perduto nell’universo, neanche i pensieri. Perciò non occorre
preoccuparsi per preservare la nostra memoria ai posteri, anche loro
riceveranno qualcosa di noi e trasmetteranno qualcosa di sé. Magari
cambierà la forma delle “vestigia” esaminate o tramandate, che si
manifesteranno sostanzialmente in chiave psicosomatica conscia ed
inconscia… ma sarà sufficiente cambiar metodo di lettura, dallo studio
dei “reperti” si passerà all’esame dei “rapporti”.

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