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Poseidonia-Tarquinia: incontri lontani

Poseidonia-Tarquinia: incontri lontani
Febbraio 15
23:00 2011

Poseidonia-Tuffatore-TarquiPoseidonia, il cui nome deriva dal dio Poseidón e che diverrà la romana Paestum, sorgeva verso l’estremità meridionale della piana del Sele su di una bassa terrazza di roccia calcarea prospiciente il mare. Erano celebrate le sue splendide rose che fiorivano due volte l’anno. Riferisce Strabone (II, 251) che Poseidonia fosse colonia di Sibari, città Achea che sorgeva alla foce del Crati, al centro della più vasta pianura che si apra sulla costa calabra dello Ionio. In ogni caso resta indiscusso il nesso di Poseidonia con Sibari, del resto attestato dalla monetazione: sugli stateri della città, al principio del V sec., compare il caratteristico toro sibaritico. Sibari e Poseidonia costituirono le due teste di ponte della via carovaniera che attraverso la Valle del Crati, il Vallo di Diano e la Valle del Sele collegava lo Ionio al Tirreno e di contro il mondo Acheo a quello Etrusco. Infatti poco a nord di Poseidonia, là dove la penisola Sorrentina curva a comporre il Golfo di Salerno, nei pressi dell’attuale Pontecagnano, già al principio del IX sec. a.C. sorgeva un importante insediamento Tirreno. La grande floridezza di Poseidonia nel VI e V sec. non venne meno quando attorno al 400 a.C. la colonia passò nelle mani degli indigeni Lucani il cui dominio durò fino al 280 a.C., cioè fino alla conquista e alla colonizzazione romana della regione. Potremmo narrarne i sontuosi templi dorici, le imponenti mura romane, gli affreschi delle tombe lucane esposti nel museo ma non è solo questo il senso della percezione del viaggiatore che, per quanto ammirata al cospetto di tanta meraviglia, riesce ancora a sbalordire innanzi all’immagine sublime del “Tuffatore“; un giovane nudo, sospeso in un’atmosfera fiabesca a metà di un tuffo stilizzato, rappresentato sulla lastra di copertura della tomba che da lui ha preso il nome. Questa è una tomba a cassa composta da cinque lastre di travertino locale, rigorosamente stuccate a scongiurare infiltrazioni, il cui pavimento fu ricavato nel basamento roccioso. Le lastre sono intonacate e decorate con pittura parietale figurativa realizzata con la tecnica affresco. Rinvenuta da Mario Napoli il 3 Giugno del 1968, a meno di due chilometri a sud di Paestum, è stata datata con precisione tra il 480 e il 470 a.C. ed i suoi affreschi rappresentano l’unico esempio di pittura greca d’età classica della Magna Grecia. Alcune delle scene parietali richiamano una cornice conviviale, interpretando schemi tipici di ampia diffusione nella coeva “Ceramica Attica a figure rosse”: musica e conversazione che s’inframmezzano al buon bere. Riguardo la figura del protagonista invece, un’interpretazione simbolica, quale emblema di un trapasso ultraterreno, si presta bene a denotare la scena del tuffo spiccato da una colonna eburnea ben definita e rivolto all’azzurro di uno specchio d’acqua ondulato e curvato sull’orizzonte a evocare un mare aperto. Il mare aperto simbolo della conoscenza estrema, inseguita nelle pratiche simposiali (abbandono al vino, all’eros e all’arte sia essa musica, canto o poesia), ma raggiungibile solo per quell’estremo volo. L’uso di figurazioni nelle sepolture, tipico dell’Etruria, è sostanzialmente sconosciuto in Magna Grecia ove al più le tombe erano decorate con stile calligrafico. L’associazione tra temi ultraterreni e contesti conviviali denota un influsso artistico e culturale del mondo etrusco fornendo testimonianza piena della profondità e reciprocità degli scambi non solo commerciali tra le due civiltà sulle sponde del Sele. E ad avvalorare tale tesi non si può non ripensare un’altra sepoltura altrettanto sublime, dall’etrusca Tarquinia la “Tomba della caccia e pesca” (quasi coeva alla “Tomba del tuffatore”) che pure tra le sepolture di Tarquinia è tra quelle che mostrano meno l’influenza dei maestri greci proponendo invece uno schietto sapore autoctono. Il monumento è composto di due camere molto piccole e all’incirca quadrate, alle quali si discende per una ripida gradinata. La decorazione pittorica della prima camera occupa tutte le pareti e il soffitto, e il motivo predominante è una rigogliosa vegetazione tra la quale un vivacissimo gruppo di personaggi con corto perizoma si muove in atteggiamento di danza più o meno orgiastica. Scendendo, attraverso una piccola porta, dal primo al secondo ambiente, si viene colti da una strana sensazione: come se le pareti non esistessero, si apre l’ampio orizzonte di un mare e di un cielo profondi animati da guizzanti delfini e da frullare d’uccelli. E partendo dalla parete sinistra, ruotando lo sguardo in senso orario appare il racconto, forse di un estremo viaggio che anche qui scaturisce da un tuffo questa volta diverso; sì perché il protagonista, nudo, si lancia da una roccia, sospinto da un personaggio che appare rannicchiato su di essa, per un volo che sa più di un tonfo pesante e rassegnato. Da una barca tre uomini sembrano attenderlo e forse è proprio così in quanto più avanti, sulla parete centrale, una barca simile ora ha quattro uomini a bordo di cui uno nudo rivolto al timoniere in posa di supplica. Prendendo in ambo i casi il tuffo quale simbolo di un trapasso risulta evidente come nel mondo etrusco sia ben definita l’idea dell’estremo viaggio, gravata dall’inesorabilità del fato che sta alla base della Etrusca Disciplina e dei Libri Etruschi e che è ribadita per il destino individuale in tutta la sua drammaticità. La porta dell’Ade è la soglia tra due mondi cui si giunge dopo strazianti congedi e perigliosi viaggi. I messaggi espliciti ricavati dalle rappresentazioni tombali non sono in origine di salvazione, ma l’influenza delle dottrine Orfico-Pitagoriche prima e Dionisiache poi deve aver apportato indicazioni per un itinerario salvifico e la speranza di una reincarnazione. La concezione della morte come viaggio verso il regno dei morti è antichissima; già nel IX sec. a.C. le barchette fittili delle tombe villanoviane di Tarquinia vogliono chiaramente alludere a questo grande viaggio. Nel pensiero greco invece, l’idea dell’aldilà è legata al comportamento terreno. Gli adepti ai Misteri Eleusini, l’Orfismo contemplano l’idea che una vita “giusta” possa condurre ad un Ade felice e luminoso, sia esso l’Isola dei Beati collocata all’estremo occidente, sia esso i Campi Elisi. Una prospettiva di tipo elisiaco nel quadro dell’Ade, regno di Persefone, attendeva gli iniziati eleusini a premio della loro “pietà”. Il privilegio dell’iniziazione consisteva anzitutto in un “vedere” che è poi un “sapere” inteso quale estrema conoscenza; luce che è loro riservata e che sembra emanare dalla figura del Tuffatore di Poseidonia.

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