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Pompei, un crollo culturale annunciato

Pompei, un crollo culturale annunciato
Novembre 25
09:20 2010

garrani-pompeiSeguo con interesse il dibattito sulle colpe del Ministro della Cultura Bondi, additato al pubblico disprezzo e invitato a dimettersi a causa del cattivo stato di manutenzione delle case di Pompei che ha portato al crollo della Casa dei Gladiatori. Ho una viscerale passione per la storia e la cultura Romana, amo passeggiare per il Foro Romano, vado spesso a Ostia Antica a camminare tra le antiche strade, le terme e le osterie, vado quando posso a Pompei, l’ultima volta poche settimane fa, per immergermi in quel mirabolante viaggio nella memoria remota che mi consente fantasticamente di immergermi in qualcosa che mi è stranamente familiare: la vita quotidiana di chi, non tantissimi secoli fa, costruiva pietra su pietra e pergamena su pergamena, le fondamenta del mio attuale vivere quotidiano.

Ebbene si, io sento un’ appartenenza profonda, una filiazione diretta seppur remota con quella gente che affollava i vicoli della Suburra, che si accalcava al Circo Massimo esultando per la vittoria della squadra del cuore, che si dannava per entrare nei favori di qualche potente di turno per riuscire a sbarcare il lunario, che conviveva con gente proveniente dai quattro punti cardinali dell’impero, in una bolgia di dialetti, di odori, di acconciature, di cibi, vissuti con la fierezza di essere al centro del mondo, e quindi fatalmente centro di attrazione per il mondo stesso. Rileggo Orazio, il suo tratteggiare la passeggiata per la via Sacra, indaffarata di traffici, di intrighi e di futilità, il suo sconcerto per la sfacciataggine di un importuno e petulante conoscente, il suo tentativo di fuggire in campagna per lasciarsi alle spalle la noia e la nevrosi del vivere cittadino.

Ebbene tutto questo mi appartiene, lo riconosco, lo rivedo effigiato nei graffiti sui muri, lo vivo come fosse parte di me nei banconi delle mescite di vino, o sulle scacchiere incise sul marmo dei gradoni del Foro, giochi per ingannare il tempo tra un affare e un comizio, lo percepisco come fosse un io remoto che mi collega al mio passato, che fa crescere la mia esistenza allargandola a dismisura nel tempo e dandole una prospettiva assai più grande e affascinante del mio vivere odierno.

Dunque, questa è cultura. Questo sapersi ricollegare al passato, il saperlo ritrovare in noi stessi, il cogliere i nessi antichi della nostra esistenza, il saper rendere omaggio a chi ha fatto si che noi potessimo essere ciò che siamo oggi, non per mero “obbligo filiale”, ma per ri-conoscenza, per la capacità cioè di riconoscersi nel nostro venire da assai lontano, di riconoscere il cammino che tanti prima di noi hanno fatto per preparare il nostro, di riconoscere infine nella vita e nelle opere di chi ci ha preceduto la parte di noi stessi che trascende il nostro momentaneo esistere, e che prepara il futuro di quelli che verranno.

Si questa è cultura. E l’importanza di Pompei non sta in altro se non nel suo poter essere specchio di quel riconoscimento, alimento per quel sentimento di appartenenza, che è comune a tutti gli uomini che sentano il bisogno di capire la loro provenienza per dare un senso al loro cammino.

Ebbene, la conservazione di Pompei è dunque cruciale per la conservazione della nostra cultura, certamente, ad un patto però: che si diano gli strumenti a chi la visita per comprendere quell’appartenenza, e decifrare e riconoscere quanto in quelle pietre c’è di vivo e di nutriente per il nostro futuro.

Ma per ri-conoscere bisogna prima conoscere, bisogna che qualcuno ci fornisca gli strumenti per leggere quell’enorme libro che è la Storia degli Uomini, bisogna che qualcuno ci insegni a rintracciare nel passato il nostro presente e viceversa, bisogna insomma che qualcuno ci educhi a capire che non siamo monadi sperse casualmente nell’universo, ma che esiste un processo lento e progressivo, che si chiama cultura, che induce gli uomini a cercare di comprendere il mondo, e attraverso quella comprensione a tentare di progredire verso un futuro migliore.

Orbene io ritengo che la colpa maggiore del Ministro Bondi, e di chi lo ha preceduto nei decenni passati, non sia stata tanto nel non curarsi della conservazione di Pompei, presa a simbolo del nostro patrimonio culturale, quanto nel non aver saputo (o peggio voluto) alimentare negli Italiani quella capacità di ri-conoscenza nel passato, nella storia, nel lascito di chi ci ha preceduto, e nel non aver fornito più acqua a quelle fonti, la scuola, l’università, la ricerca, le arti, la letteratura, insomma in una parola alla Cultura, che sole possono generare delle persone capaci di vedere in qualche sasso ammonticchiato tra i pini una inestimabile chiave di comprensione della nostra vita, della nostra esistenza,e del senso del nostro futuro.

E se i nostri ragazzi oggi hanno, come tanti piccoli miopi, una visione del passato che a mala pena riesce ad allontanarsi di qualche decennio, e se vivono il presente come un continuum di attimi fuggenti scollegati da qualunque appartenenza, da qualunque radice, da qualunque senso della ri-conoscenza verso il passato, ebbene questo è ciò che io ritengo un crimine efferato, una menomazione imposta al nostro Paese in modo scriteriato, che ci costringerà per anni ad una vita da talpe, vivendo in cunicoli scavati sotto i ruderi della nostra Storia.

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