PNRR: O SI FANNO I CASTELLI ROMANI O SI MUORE
Un precedente articolo ha affrontato il tema dei fondi del PNRR assegnati a otto Comuni nei Castelli Romani per i progetti di rigenerazione urbana. Albano Laziale, Ciampino, Frascati, Genzano, Grottaferrata, Marino, Rocca di Papa hanno ricevuto 5 milioni di euro ciascuno e Velletri ha ricevuto 10 milioni di euro (attenzione, sono ancora stanziamenti di bilancio e si tratta di un atto di solidarietà da parte degli altri paesi europei che ci chiederanno conto di cosa ne faremo dei loro soldi). La domanda che veniva posta era: Comuni di piccola-media dimensione saranno in grado di condurre in porto una così difficile iniziativa? E la risposta era sostanzialmente negativa, a meno di radicali mutamenti organizzativi.
Vediamo il contesto in cui si colloca la questione. E’ chiaro, come ormai viene riportato da tutti gli analisti a livello nazionale, che i singoli Comuni non hanno le competenze per gestire i progetti e per rendicontarli, come pure è evidente che i professionisti locali si troveranno ad affrontare problematiche e modalità operative per loro del tutto nuove. Il problema è che i piccoli-medi Comuni non hanno adeguate capacità progettuali, non sanno davvero come muoversi per gestire progetti complessi, non sono in grado di accedere al fondo di 30 milioni all’anno fino al 2026 per le nuove assunzioni disposte dal PNRR, e si aspettano assistenza dalle Regioni, che però a loro volta non sanno come assecondare le centinaia di richieste.
C’è dunque il serio problema per quella che ormai viene usualmente chiamata la “messa a terra” dei progetti con il rischio che le iniziative non partiranno o che, una volta partite, non giungeranno a conclusione.
Guardando ai Castelli Romani viene in mente la dichiarazione di Klemens Von Metternich: “L’Italia è un’espressione geografica”. Anche i Castelli Romani sono un’espressione geografica, culturale, storica, ma non sono un’entità coesa e omogenea con Comuni capaci di fare massa critica. Le singole municipalità, di piccole e medie dimensioni, vivono in un mondo ormai appartenente al passato mentre le sfide presenti e future provengono da un mondo globalizzato. Vale la regola del ciascuno per sé con il suo campanile, in barba a tutti i provvedimenti legislativi che incentivano iniziative di messa in comune delle risorse. Che senso ha avere, ciascun Comune, un ufficio del personale, un ufficio tecnico, laddove queste funzioni potrebbero e dovrebbero essere centralizzate in una struttura al servizio di tutti gli enti consorziati? L’esperienza mostra che di fronte agli stimoli provenienti dal parlamento i Comuni hanno fatto in realtà orecchie da mercante. Non solo, quando il tentativo è stato esperito, l’esperienza è naufragata: Albano Laziale e Castel Gandolfo hanno unificato il comando della Polizia locale per poi tornare sui propri passi dissolvendo la compagnia (ora Castel Gandolfo dispone di quattro vigili per cui è del tutto possibile che, tra ferie, malattie, esoneri familiari, ecc. alcuni giorni il Comune sia sprovvisto di vigilanza).
Fino ad ora è mancata, per molti motivi, la voglia di collaborare. Le ragioni sono molte: una scarsa cultura e visione politica, l’assenza di una visione strategica, strutture amministrative inadeguate, gelosie solo parzialmente “nobilitate” da un richiamo al campanilismo, la voglia di mantenere il proprio potere per acquisire un facile consenso elettorale.
Per essere in linea con le aspettative del PNRR i Comuni dei Castelli Romani devono fare un grande salto: devono diventare attori positivi del cambiamento epocale promosso dal Piano per la ripresa dell’Europa (Next Generation EU) in coerenza con gli obiettivi della transizione ecologica e della digitalizzazione – superando la pratica invalsa che troppo spesso li vede come modesti contabili attratti soltanto dal profumo dei soldi ottenuti purchessia, spesso dalla Regione, per colmare i propri vuoti di bilancio.
Cosa c’è ora di nuovo rispetto al passato? I soldi del PNRR sono assegnati a ciascun Comune e quindi non vi è concorrenza, a questo gioco vincono tutti. I soldi rimangono nella disponibilità di ciascun ente locale.
Come affrontare e vincere la sfida? Si può avanzare una proposta. Formare un organismo intercomunale in cui convergano le risorse umane disponibili presso i Comuni consorziati, professionisti locali, esperti della Regione Lazio, esperti con competenze necessarie alla programmazione e rendicontazione dei progetti europei. Questa compagine, di cui dovrebbero far parte anche professionisti ed esperti in pensione impegnati a titolo gratuito, dovrebbe avere una numerosità non superiore alle venti-venticinque unità ed essere guidata da una forte leadership.
Per realizzare questo “sogno” è necessaria la capacità di mettere in campo un nuovo assetto istituzionale (sotto forma di consorzio o altro), l’impegno di un sindaco che si faccia promotore dell’iniziativa con gli altri colleghi, la disponibilità dei vari attori di mettersi in gioco e di superare i propri limiti in vista di un obiettivo superiore. La parola d’ordine è “stringiamoci a coorte”.
Ora i Castelli Romani si trovano in un tornante della storia. Per dimostrare che non sono, alla von Metternich, soltanto una “espressione geografica” ma una nuova realtà coesa che sa cogliere un’opportunità irripetibile, e che, ispirata a quanto disse Garibaldi a Bixio alla vigilia della battaglia di Calatafimi “Qui si fa l’Italia o si muore”, sappia rispondere che “O si fanno i Castelli Romani o si muore”.
Ma bisogna essere realistici. I politici locali, come d’altronde quelli a livello nazionale, mostrano tutte le proprie debolezze, le strutture amministrative sono in affanno, burocratiche e incapaci di innovare, nei singoli Comuni predominano i piccoli interessi di bottega all’ombra del campanile, il tessuto sociale è ripiegato su se stesso e poco incline a coinvolgersi nella vita sociale. Realizzare quanto proposto sarebbe un miracolo. E’ dunque del tutto prevedibile che il sogno di un cambio di paradigma che permetterebbe di far spiccare il volo ad antichi calabroni non si avvererà. Si attendono smentite.
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