Pirandello dal Caos all’assurdo
Pirandello era nato in Sicilia in una proprietà paterna denominata Caos, adattamento o distorsione a orecchio dell’originario termine greco. Da lì ha costruito e rappresentato un mondo letterario tanto grandioso come la sua terra, quanto fragile come la natura dei suoi personaggi.
Con un’ottima operazione artistica il “Libero Teatro” diretto da Giuseppe M. Usai è riuscito a condensare, in Poveri piccoli uomini feroci (citazione da La patente) rappresentato l’11 maggio al teatro Artemisio di Velletri, l’essenza del teatro pirandelliano e in definitiva il suo pensiero filosofico.
Lo spettacolo, in ordine di rappresentazione, comprende in un percorso tematico una riduzione di: Non si sa come (1934), L’uomo dal fiore in bocca (1923), Il professor Terremoto (1910) e La patente (1917). Nel primo lavoro emerge il contrasto tra realtà e sogno, istinto e consapevolezza, rimozione e inconscio desiderio di giustizia: il protagonista, macchiatosi di due delitti, commessi perché travolto dalla “bestialità umana”, farà in modo attraverso una rivelazione-provocazione di essere a sua volta ucciso e quindi “giustiziato non si sa come” da un amico. L’uomo dal fiore in bocca rappresenta il dramma esistenziale della sofferenza che costringe l’uomo a una vita psichica “vegetativa” e attaccata alle banalità quotidiane. Il professor Terremoto incarna il personaggio dell’eroe disgraziato, perché nello slancio ha dato tutto per gli altri (salvandoli nella realtà dal terremoto e accollandosene l’esistenza futura) dovendo per giunta sopportare la distruzione della sua vita professionale e lo scherno della comunità. Solo ne La patente lo iettatore Chiarchiaro riuscirà, con “lucida pazzia”, a volgere a suo favore i pregiudizi e la meschinità che allignano nell’umanità.
La vittoria dell’irrazionale
Dunque, si diceva di un’ottima operazione. In effetti sia l’assemblaggio dei vari pezzi sia il loro sviluppo hanno generato un crescendo di interesse e godimento a mano a mano che le storie, nel loro dipanarsi tra il tragico e l’umoristico, completavano il quadro di questa umanità “in maschera”, travolta dall’irrazionale (dal caso, anagramma predestinato di caos) e afflitta da incomunicabilità. Questi uomini si sentono estranei a una vita assurda e Pirandello sembra anticipare i grandi temi dell’esistenzialismo: un’assurda e continua lotta di Sisifo per non farsi schiacciare dal masso delle convenzioni e del relativismo psicologico.
A tutto ciò hanno dato vita con bravura gli attori, primo su tutti Giuseppe M. Usai che si è assunto un doppio carico: quello della regia e quello di spaziare, come protagonista in tutte le fasi, tra introspezione e dolore, tra ironia e grottesco. Poi la perla di Paolo Ricchi nell’interpretazione, di grande livello e in apparente disinvoltura, del giudice istruttore ne La patente. Ottimi ancora Giuseppe di Fonsi e Leonardo Pellegrino, entrambi in diverse parti nei vari atti, e Roberto Pennacchini, narratore ne Il professor Terremoto. Vanno anche ricordati, nella coralità della compagnia, Angelo Cavaterra, Antonella Fede, Carlotta Sperati e Luciana Zolli, che ha curato anche scene e costumi. In particolare va sottolineata la disponibilità delle attrici a impersonare una sorta di coro muto, come un’esemplificazione struggente del dolore sopportato dalla donna in un mondo così “assurdo”. Luci di Antonio Accardo e commento dal vivo di Mauro Palmas, con brani originali appropriati ed eleganti perché giustamente depurati da possibili effetti “piacioni” o regionalistici.
Il numeroso pubblico presente ha dimostrato con applausi intensi di aver apprezzato sia la resa scenica che lo sforzo costruttivo dell’insieme. In conclusione, una “prima” che, con naturali lievissime evoluzioni di esperienza, potrà divenire un classico da replicare spesso, nel segno del teatro dello specchio (come denominato dallo stesso Pirandello) ma anche dello scavo, nel senso di approfondimento, come ci viene da dire oggi.
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