“Pier Paolo Pasolini Tutto è santo: Il corpo poetico” Palazzo delle Esposizioni
(Serena Grizi) Roma -Per quanto il titolo della mostra suggerisca un corpo poetico-letterario, ci avviamo come se in quel luogo dovesse avvenire l’epifania, avendo, di fatto, una intuizione sulla costruzione dell’esposizione: incontreremo Pier Paolo Pasolini, il poeta, parole e corpo. E così al Palazzo delle Esposizioni, il poeta ci accoglie nel salotto buono, nemmeno tanto borghese, spazi immensi luminosi. La mostra è una serie di scatole o di cerchi concentrici: dalla sua venuta a Roma alla frequentazione dei poeti, dal suo essere professore e poi articolista dalla parola definitiva, poetica anche quella, ai campetti inondati di sole fra le baracche o in costruzione ad esibire la gioventù, fra i ragazzini delle borgate. Il giovane Pasolini trovò a Roma una condizione che non credeva potesse esistere nell’Italia Centrale: la luce del mezzogiorno affogava ancora campagne smangiucchiate dalle borgate, l’ignoranza era sincera e quasi mai triste, era pieno di ragazzini che mettevano allegria, numerose le occasioni di tirare calci ad un pallone. E nella Capitale si ‘incontrava’ con facilità, come scriveva in confidenza al cugino Nico Naldini. Pasolini ha attorno a sé uno zoccolo duro di amici, le foto testimoniano: Sandro Penna, Attilio Bertolucci, Laura Betti, Alberto Moravia, Dacia Maraini, l’ingegner Carlo Emilio Gadda (che restava educatamente ad ascoltare il padre di Pasolini per ore). Amici molto più grandi di lui o coetanei e poi, col successo ed i lavori cinematografici, altre storie ‘d’amore e d’amicizia’ con Maria Callas (Medea), Silvana Mangano (Edipo re, Decameron). Lo fotografa Mario Dondero e molti altri, anche anonimi, in mostra, e le foto grandi e piccole sono l’attrattiva più forte. Il corpo poetico risiede nei suoi libri, sui tavoli, nelle teche, scopriamo antologie e titoli usciti ormai dai cataloghi degli editori, ne faremmo una bracciata per portarli via tutti e riguardarli a casa con calma.
Il sorriso a cui lo abitua la Betti, che testimonia d’un Pasolini primissima maniera che teneva le labbra sottili serrate, si trasforma nel tempo. È timido, benevolo, quasi radioso, ammirato coi ragazzi dal bel viso ma anche con le ragazze di borgata semplici e amichevoli. Poi, in vent’anni tutti si cambia, il poeta ha prima stigmatizzato il cambiamento sociale portato dal consumismo e dal linguaggio televisivo che comincia a ‘spianare’ differenze e ad uccidere la vita libera all’aria aperta, quando si andava senza orpelli incontro al giorno (stretto passaggio, durato poco, tra la vita contadina e quella industriale) e il sorriso si è attenuato di nuovo. Infine ‘il sistema’ che il poeta attacca ‘sistematicamente’ gli si rivolta contro come un drago, lo contrattacca violentemente. Nei giornali dell’epoca, leggibili nelle teche, ritroviamo tutta la perfidia dei rotocalchi di sempre, insinuazioni ed illazioni al limite dell’assurdo: Pasolini che sarebbe andato a guardare i ragazzini sul litorale laziale con intenzioni pedofile (?); Pasolini ladro o addirittura rapinatore con tanto di testimonianza; ‘Pasolini ci insegna il Vangelo’; Pasolini da curare, parola di psichiatra, prima per la pederastia ma anche perché non la nasconde, secondo il dottore, compiacendosene. E via così tanto da far dimenticare la ‘quasi’ cristologia del suo corpo straziato per sempre all’Idroscalo di Ostia. L’unico che lucidamente pare aver capito in anticipo come finirà, prima del poeta stesso, sembra essere Alberto Moravia: in uno scatto, lui che sovrastava Pasolini di almeno dieci centimetri, si pone davanti al poeta che, peraltro, occupa volentieri la posizione di secondo dietro spalle di cui si fida emergendo solo con la testa: Moravia pare guardare avanti per lui affinché si possa procedere senza pericoli. Saranno per questo figlio/fratello le parole di stima, dette con tenerezza, nella potente orazione del 5 novembre 1975: «Tutto questo l’Italia l’ha perduto, ha perduto un uomo prezioso che era nel fiore degli anni. Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo Paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese come Pasolini stesso avrebbe voluto». La stessa tenerezza che ispira ad amici come l’allora giovanissimo Bernardo Bertolucci s’esprime tutta in ciò che diranno di quel ragazzo piccolo ed elegante, sportivo e nervoso tenebroso eppure gentile. Non bello come dicono in tanti: ha il naso schiacciato che lo fa somigliare a Ettore Garofalo, il protagonista di Mamma Roma. Lui, nato a Casarsa della Delizia, a forza di frequentare la borgata ne raccoglie i tratti, non può aver ripreso da sua madre, gliela ricorda nelle fattezze la bellissima Silvana Mangano ed in una foto d’epoca, infatti, è una bella mela lucente, dal volto classico, nulla a che vedere con la magrezza struggente del calciatore Pier Paolo. Da tutto questo incontrarlo su ogni muro, ad ogni scatto, ad ogni copione corretto da lui stesso a penna (parliamo ‘solo’ di cinquant’anni fa), corrisponde il ritrovarlo in Poesia informa di rosa, Le ceneri di Gramsci, Trasumanar e organizzar, La nuova gioventù, Canzoniere italiano: Antologia della poesia popolare, lui che c’ha portato dal Friuli una lingua poetica nuova per dire Roma, la città che dopo di lui non è stata più la stessa; così come ha ricordato a tutti quanti l’esistenza dei dialetti, della lingua madre, che per noialtri è prima quella di casa che quella dello stato, l’italiano, (una installazione con tante casse acustiche quante sono le regioni italiane le fa cantare sommessamente tutte assieme queste incredibili, intangibili, tradizioni).
Prima di scomparire, mentre ci guarda da uno di quei suoi ineffabili ritratti, da solo, o con sua madre Susanna, che lo guarda sempre, (ma anche suo padre si era poi trasferito a Roma e Pasolini scrive: «adesso non si può credere quanto viva di me») ci ricorda che la sua esistenza è ancora avvolta nel mistero. Questo Nostradamus del ‘900 ha previsto il disfacimento delle differenze, poi quello sociale, la crescita non più di persone e cittadini ma di meri consumatori. Era venuto a dirci che saremmo arrivati a questo in una ennesima poesia, stavolta a forma di croce: pieni di merci e sporcizia, assediati dal deserto, quel che resta della terra che maltrattiamo ogni minuto desiderato da uomini molto più affamati di noi (Alì dagli occhi azzurri).
I costumi delle sue opere, ce ne sono decine in mostra d’una bellezza senza tempo, sono in buona parte realizzati con tessuti riciclati, annodati a mano, così essenziali ed eleganti nei colori e nelle forme da far venire voglia di indossarli subito e vedere se avviene il miracolo di ritrovarsi nelle epoche del mondo appena cominciato: fra i popoli antichi, all’alba delle civiltà del Mediterraneo o in un medioevo zeppo di pellegrini e cantastorie, quando ci si fermava per strada a parlare con un altro senza avere troppa fretta e l’incontro poteva sortire scatole infinite di storie nella tradizione occidentale come in quella orientale.
Il poeta, oltre che in quel corpo amato ed esibito, ora vive nei suoi scritti e il luogo più reale nel quale ancora vive è il desiderio della bellezza. Se anche Pasolini non avesse assolto se stesso per qualcosa, o avesse voluto mettere la sua anima, nella quale avrebbe potuto credere, in fila con tutte le povere anime del mondo, per un motivo o per un altro, anche lui figlio del proprio tempo e delle proprie debolezze, si sarebbe almeno perdonato per quel lavoro incessante attorno alla bellezza. Basta guardare e ascoltare le interviste televisive (presenti in mostra) nelle quali parla e si muove con grazia ed attenzione, e tratta ogni frase, oltre che come locuzione definitiva, per il rispetto che dobbiamo a noialtri in quanto esseri pensanti, come concatenazione necessaria per giungere a compimento d’un pensiero ben espresso, per accorgersi della sua inesauribile curiosità per la bellezza: lezioni ai suoi studenti, poesie, saggi, romanzi, film sulle antiche tragedie, film sulla novellistica antica nei quali richiama esempi altissimi di pittura, viaggi. La bellezza è una sua figlia naturale, che a cento anni dalla nascita ci parla ancora di Pasolini, non un assoluto, né letterario né umano (ché le critiche aspre continuano ad arrivargli come se fosse presente per poter ribattere), non un santo ma un padre prolifico di figli che ci stanno crescendo davanti e che spazzano via le immagini terribili del suo ultimo giorno che, a chi è andato a cercarne il corpo anche in questa mostra, ancora non appare come vero.
Pier Paolo Pasolini Tutto è santo: Il corpo poetico – Palazzo delle Esposizioni fino al 26 febbraio 2023
Il corpo veggente – Palazzo Barberini fino al 12 febbraio
Il corpo politico – MAXXI fino al 12 marzo
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Caro Pier Paolo, lettere e sogni
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici,e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno,
come da malandrini a malandrini:
” Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!”
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica
voleranno davanti alle willaye…..
(da Alì dagli Occhi Azzurri)
MARIO MERZ. BALLA, CARRÀ, DE CHIRICO, DE PISIS, MORANDI, SAVINIO, SEVERINI. ROMA 1978. MOSTRE IN MOSTRA – Testi a cura di Daniela Lancioni, sito Palazzo delle Esposizioni
L’esposizione fa parte del ciclo Mostre in mostra con il quale il Palazzo delle Esposizioni propone la ricostruzione di alcune tra le più significative vicende espositive che hanno caratterizzato il panorama artistico a Roma a partire dal secondo Novecento.
Per questa seconda edizione viene riproposta la mostra Mario Merz. Balla, Carrà, de Chirico, de Pisis, Morandi, Savinio, Severini inaugurata alla storica Galleria dell’Oca di Roma il 15 marzo del 1978 e frutto della collaborazione tra Luisa Laureati Briganti, fondatrice della galleria, e i galleristi Luciano Pistoi e Gian Enzo Sperone.
29 novembre 2022 > 26 febbraio 2023.
Alcuni fattori mettono in dialogo questa mostra con Pier Paolo Pasolini. Tutto è santo e ai relativi rimandi che interessano le altre sedi dell’Azienda Speciale Palaexpo. La presenza di due tra i pittori maggiormente amati dal poeta, Filippo de Pisis e Giorgio Morandi, e il fatto che Pasolini fu tra coloro che resero l’Oca uno dei luoghi effervescenti della mitica stagione romana, quando straordinari artisti, scrittori, musicisti, registi, giornalisti e galleristi condividevano il proprio tempo con quotidiana assiduità, creando nei luoghi da loro abitati una qualità di vita che ebbe del prodigioso. A confermare la presenza di Pasolini all’Oca, una serie di fotografie scattate all’inaugurazione di una mostra di Gastone Novelli del 1967, anch’essi esposti in omaggio al poeta, accanto al materiale documentario.
Mostra promossa da Roma Culture e Azienda Speciale Palaexpo, organizzata da Azienda Speciale Palaexpo
Immagine: Mario Merz, Senza titolo, 1978, Collezione privata/Kunstmuseum Liechtenstein, Vaduz. Foto Stefan Altenburger Photography, Zürich
L’articolo appare con una sua introduzione su: Variazioni
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