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Piazza Fontana: romanzo di una strage

Piazza Fontana: romanzo di una strage
Maggio 19
00:00 2012

transericiIl 12 dicembre 1969, alle ore 16:37, un’esplosione devasta la sede centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in pieno centro a Milano, a pochi passi dal Duomo. Giovanni Arnoldi, Carlo Gaiani, Luigi Meloni, Mario Pasi, Angelo Scaglia, Carlo Silva: sono solo alcuni dei nomi delle diciassette vittime, al cui bilancio si aggiunge quello dei circa novanta feriti. La prima spiegazione fu ricondotta allo scoppio di una caldaia, «ma una roba così non la fa una caldaia»: morti, feriti, superstiti dilaniati. Fu l’inizio di uno dei periodi più turbolenti della storia italiana, qui comincia la “strategia della tensione”. Quel giorno, però, si contano altri quattro attentati terroristici che colpiscono, nell’arco di circa cinquanta minuti, le maggiori città d’Italia: Roma e Milano.

Il ricordo della strage di Piazza Fontana, delle indagini, del clima politico dell’epoca, si rinnova al cinema con il regista Marco Tullio Giordana, a riprova di un impegno personale coerente e determinato. Romanzo di una strage rievoca, nel titolo, uno dei brani che Pier Paolo Pasolini pubblicò nel 1974 sul Corriere della Sera che racconta il significato, il romanzo delle stragi italiane: «Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Credo sia difficile che il “progetto di romanzo” sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile.» L’evocazione di fatti storici controversi, raccontati come un romanzo, ha portato inevitabilmente a mediare tra fiction e realtà. La storia di Piazza Fontana è quella di troppe verità sovrapposte o nascoste e secondo lo sceneggiatore Stefano Rulli, ‘romanzo’ è anche questo: «ritrovare un senso attraverso indizi che ci sono». Giordana dirige, grazie anche al coraggio dei produttore Riccardo Tozzi, un film ‘necessario’ che serve a spiegare la storia e la verità «con gli strumenti della letteratura, del cinema, dell’arte, non di quelli della politica.» Con la strage di Piazza Fontana cambia l’idea della lotta politica. Il sangue, le morti segnano un’intera generazione. Quello che era stato detto, però, non era tutto, non era chiaro, ma oggi sappiamo o abbiamo il diritto di sapere. Giordana mette allora in luce due figure cardine: il commissario Luigi Calabresi, interpretato da Valerio Mastrandrea, e l’anarchico Giuseppe Pinelli, cui presta il volto Pierfrancesco Favino. La questura di Milano indaga sull’accaduto e nei giorni successivi alla strage vengono fermati circa un centinaio di persone, per la maggior parte anarchici o militanti di estrema sinistra. Fra questi, il ferroviere Giuseppe Pinelli che viene trattenuto senza nessuna imputazione. Fu trovato il colpevole perfetto: il ballerino Pietro Valpreda, considerato dagli stessi anarchici un elemento instabile e troppo dedito alla lotta, per questo già allontanato dal gruppo di Milano. Governo e Parlamento vedono rafforzarti i presupposti per una svolta autoritaria, come si era verificata in Grecia, e il vecchio ordine sembra sul punto di cadere. Emblematiche sono le figure dell’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che aveva reso impossibile un governo di centro- sinistra, e soprattutto di Aldo Moro, Ministro degli Esteri, interpretato da Fabrizio Gifuni, figura intensa che presagisce la deriva del paese, nell’abisso della cospirazione. La sera del 15 dicembre, a settantadue ore dalla strage, Pinelli muore, precipitando dalla finestra del quarto piano della questura, dall’ufficio del brillante commissario Calabresi. La versione ufficiale parla prima di incidente, poi di suicidio. Calabresi, che conosceva bene Pinelli, pur non essendo presente in quel momento nella stanza, resterà legato alla morte dell’anarchico, all’ambiguità delle versioni fornite, poco credibili, di cui cominciarono a diffidare anche i giornali più conservatori. Calabresi, convinto forse che le indagini fossero inquinate dagli uomini dell’intelligence, iniziò a indagare per conto proprio. Scoprì un traffico di armi ed esplosivi Nato dalla Germania all’Italia, allo scopo di rifornire le cellule eversive neo-naziste italiane, ipotizza l’esplosione di due bombe. Una è simbolica, non avrebbe dovuto causare vittime, la attribuisce a Valpreda; la seconda è la bomba della strage, a metterla è un fascista infiltrato che somiglia a Valpreda, così la colpa ricade sugli anarchici, sul ballerino. Il 17 maggio 1972 il commissario Calabresi viene assassinato. Quarantatre anni dopo la strage che mette fine alle speranze di cambiamento del ’68, Marco Tullio Giordana realizza un film corale, un alternarsi di volti noti e poco noti che si succedono a storie e situazioni. Non si può pretendere che un film accontenti tutte le parti, ma Romanzo di una strage recupera la memoria, fornisce input e fatti su cui ragionare, soprattutto alle giovani generazioni che non sanno molto sulla storia di quegli anni. È un film necessario perché parla anche di oggi, della frustrazione per un senso di impunità che accompagna la storia del nostro paese. Oggi la strage di Piazza Fontana non ha colpevoli: gli imputati sono stati assolti o ritenuti non più giudicabili, come Franco Freda e Giovanni Ventura, neo- fascisti veneti; ai familiari delle vittime sono state chieste le spese processuali e per la giustizia italiana tutti i casi sono chiusi. Quando, però, il direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, Federico Umberto D’Amato – interpretato da Giorgio Colangeli – si trova a colloquio con Luigi Calabresi prima che venga assassinato, le ipotesi delle due bombe, degli infiltrati, delle cordate di sinistra e di destra vengono definite come favole. Favole suggestive, ma che hanno un fondo di verità. Quella verità non si può dire, perché la guerra non è finita e perché «davvero commissario lei pensa che uomini dello stato possano aver voluto la morte di tante vittime innocenti?»

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