La
saggezza
da
"Flash 80" di Roberto Zini
"Bisogna
saper osservare" disse con un cenno appena percettibile della mano.
Le
dita erano aperte mollemente, l’indice si staccava un poco dalle altre,
orgoglioso della funzione che gli dà il nome. Seguii la direzione
imprecisa che mi voleva comunicare e vidi.
Sulla
cima di uno stelo di grano, aggrappato alla spiga, stava un piccolo
uccello nero. Lo stelo si fletteva sotto il suo peso, molleggiando.
L’uccellino frullava ogni tanto le ali e sceglieva una nuova posizione
per le zampette, per mantenere un equilibrio.
Il
vecchio sorrideva, gli occhi intrappolati in un intrico di rughe.
"Bisogna
saper osservare." ripetè.
Ebbi
un moto di impazienza. Cos’altro c’era da osservare? La sua mano
continuava ad indicare, le dita mollemente separate, l’indice staccato
dalle altre. L’uccello era volato via, lo stelo dondolava ancora. La
mano si mosse in un arco seguendo l’orizzonte giallo e azzurro di grano
e di cielo, poi salì maestosa fino a portarsi parallela alla grondaia
della casa colonica che cresceva al bordo del podere.
Una
crepa scura sfregiava il vecchio muro intonacato di bianco.
Scendeva
per circa un metro, assottigliandosi fino ad una larghezza che, da quella
distanza, mi parve forse di un centimetro. E nel punto più stretto, come
richiamata dal gesto del vecchio, comparve la testolina grigia di un
piccolo topo. Uscì con circospezione e rimase al sole, annusando
l’aria, aggrappato senza fatica alle asperità del muro.
Il
vecchio sorrise ancora, agitò la mano nell’aria evocando magie, come
fosse il direttore d’orchestra di un concerto della Natura. Dal nulla
comparve l’uccello che prima si dondolava sullo stelo di grano. Così
almeno volli credere o volle farmi credere.
Nero,
lo sguardo acuto e sicuro, saettava fendendo l’aria col becco adunco. Il
vecchio gli indicava la rotta del volo con la mano magica dalle dita
allargate, screpolate, callose, temprate dalle vicende di una lunga vita.
"Guarda
il gioco della Natura." mi sussurrò "Ogni storia per quanto
piccola ha la sua armonia e la sua crudeltà. Ogni essere ha il suo ruolo.
Il grande gioco continua, sempre uguale, sempre diverso."
L’uccello
nero si avvicinava, sicuro e severo. Forse non era lo stesso che avevo
visto aggrappato alla spiga. Forse era di un’altra razza, più feroce,
più determinata. Un essere tanto grazioso come avrebbe potuto concepire
il piano crudele che si intuiva in quel volo?
La
mano del vecchio da lontano lo guidava e lui sembrava seguire il suo
volere, costretto dai fili sottili di un incanto. Rallentò, sporse le
unghie adunche, si preparò a ghermire la piccola preda intorpidita nel
sole.
La
mano del vecchio con un ultimo, definitivo movimento decretò l’ennesima
fine dell’ennesima storia. I suoi occhi, stretti e compiaciuti, vedevano
nel breve futuro di quella vicenda una inevitabile conclusione ed in
questa l’armonia del Mondo.
Il
topolino scattò, scartò le zampe del rapace, le morse veloce, senza
esitazione.
L’uccello
agitò le ali sorpreso, perse il controllo, sbattè contro il muro e piombò
a terra.
Un
gatto apparve da dietro un angolo, corse presso l’uccello stordito, lo
addentò e scappò via con la sua preda.
Guardai
il vecchio. Era a bocca aperta.
"Ma
come.....?" disse.
Non
avevo mai visto tanto stupore e delusione, non su un viso rugoso di anni e
di esperienza.
Solo un vecchio
molto saggio poteva fare errori così stupidi. |