Alieni
da
"Flash 80" di Roberto Zini
Come
venendo dal nulla comparvero uno dopo l’altro fino ad addensarsi in uno
sciame compatto all’ingresso del ristorante self_service, lasciandosi
impregnare dagli effluvi di cibi per loro esotici.
Obbedienti
ad un ordine ricevuto rimasero lì fermi, in brulicante attesa di un
secondo ordine che cancellasse il primo e li facesse entrare.
Li
vedevo ridere eccitati di un’eccitazione incomprensibile, indirizzata a
dettagli per noi banali e per loro fonte di grande attenzione e
meraviglia.
Rabbrividii
pensando alla mensa assediata da quella folla strabordante.
Imprecai
sommessamente. Non avevo molto tempo e la loro presenza implicava almeno
mezz’ora d’attesa prima di essere servito. Cercai un varco nel loro
brulichio ma fui respinto con cortese indifferenza e mi arresi ad una
disciplina per me inconsueta.
Poi
venne un ordine silenzioso ed invisibile. Lo captarono come un segnale
chimico, un ferormone cui obbedirono lietamente ed iniziarono a fluire
all’interno con un educato scalpiccio, senza affrettarsi, metodici,
fiduciosi, ciarlieri, eccitati. Mi rassegnai, mi misi in fila e li seguii
nel loro lento scorrere di fiume placido ma non navigabile.
Infine
entrai nella sala del self_service. In lunga, ordinata fila si erano
disposti dietro al distributore dei vassoi e delle posate. Uno dopo
l’altro, disciplinati, si stavano rifornendo di vassoi, pane,
tovaglioli.
Poco
oltre, sulla destra, un identico distributore, deserto e trascurato,
attendeva qualche avventore, ma nessuno gli si accostava, tutti si
assiepavano dietro al primo.
Stupito,
mi avvicinai con passo esitante. Nessuno di loro uscì dallo sciame. Presi
un vassoio, le posate, il tovagliolo in tutta calma. Andando al bancone
ove si dispensavano i pasti avrei potuto essere servito prima di tutti
loro, ancora in fila per il vassoio. Mi girai a guardarli, caso mai
qualcuno si fosse accorto di questa opportunità di abbreviare l’attesa.
Due
ragazze in fila ridacchiavano stupidine, coprendosi la bocca con la mano.
Una di loro, casualmente, incrociò il suo sguardo col mio. Si fermò, col
sorriso cordiale incollato alle labbra, e mi guardò con lo stesso
interesse che ognuno di loro dedicava a qualunque cosa. Risposi al suo
sorriso e le feci un cenno per invitarla a prendere il vassoio dove
l’avevo preso io. Sembrò capire e mostrò interesse per la mia
soluzione. La vidi misurare con gli occhi la fila che aveva davanti, poi,
sempre cogli occhi, percorse il tragitto dal punto in cui mi trovavo al
bancone del cibo, fece un rapido confronto mentale e si inchinò verso di
me, per ringraziarmi della mia cortesia, con un sorriso dolce e
riconoscente.
Tirò
per la manica la sua amica e le disse qualcosa all’orecchio, coprendo la
bocca con la mano e ridacchiando. L’amica dapprima l’ascoltò con
interesse, poi indurì i lineamenti del volto, si irrigidì e si ritrasse
ancor più all’interno del gruppo. Lei esitò un attimo poi fece un
altro risolino ed azzardò un passo fuori della fila, poi un altro, più
sicura, e un altro ancora.
Al
terzo passo lo sciame reagì.
Cessarono
i sorrisi, i brevi inchini, lo scalpiccio di piedi in disciplinata marcia
millimetrica. In un silenzio irreale l’aria si fece dura come pietra e
un’ondata di disapprovazione quasi si materializzò fisicamente e
avvolse in un abbraccio intransigente la ragazza che si bloccò raggelata.
Senza fiato iniziò a retrocedere, come risucchiata da un magnete
incontrastabile, riluttante ma senza combattere. Un passo dopo l’altro
tornò alla fila, girando il capo a tratti per guardarmi con aria di
scusa, come mi chiedesse perdono per la scortesia di non seguire il mio
suggerimento, ma non poteva commettere una scortesia più grande verso i
suoi compagni.
Infine
fu riassorbita dallo sciame e la modesta ferita prodotta dalla sua assenza
si rimarginò rapidamente e scomparve.
La
lunga fila riprese la sua marcia ostinata verso il destino.
Prima
di rivolgersi alle sue amiche e riprendere i suoi risolini, la ragazza mi
guardò un’ultima volta cogli occhi a mandorla nel viso rotondo e
sussurrò una sola parola che pur da distante potei comprendere. |