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Pedofilia: l’ingiustizia, l’ingiuria e la vergogna

Aprile 11
22:00 2010

Tra i tanti crimini e le ferocie di cui l’essere umano è capace non è sempre facile scegliere di cosa parlare. Non è facile per l’indignazione e il disgusto che questi fatti trascinano con sé. Non è facile perchè nella bulimia mediatica più distratta, l’attenzione spesso si posa su fatti meno gravi. Non è facile perché una cinica disillusione ormai ci fa considerare il mondo marcio, malato e irrecuperabile. Ciò avviene forse perché nell’impotenza e nello sconforto che ci colgono, sconfiggere il male appare un’impresa insormontabile. Ma succede così che eventi atroci, troppo simili tra loro, ripetendosi, si svuotino e perdano gravità e significato.

Si trasformano in puri episodi di cronaca: troppo brevi, troppo uguali, perfino banali, che aspettano solo di essere sostituiti dai loro ricambi, altrettanto aleatori, somiglianti e routinari. Eppure essi durano più a lungo di ogni loro manifestazione o racconto. Il male lascia sgomenti, e segni, oltre perfino le parole che cercano di comprenderlo. Il male si ripete. Il male persiste. La convivenza col male, allora, si trasforma nella nostra abitudine colpevole. Curarlo sembra addirittura impossibile. E la coscienza ha bisogno di trovare un alibi per rifuggire dalla sua persecuzione: allora sceglie di non guardare, di occultare il male, per non restarne contaminata. L’ammissione di colpa poi, se avviene, è sempre tardiva: lascia solo la speranza in una giustizia riparatoria che tenta di curare le ferite ma non le guarisce. Il vescovo Stephan Akerman (l’inquisitore incaricato di far luce sullo scandalo dei preti pedofili in Germania) ha effettivamente ammesso: «in base alle conoscenze che abbiamo attualmente, possiamo dire che c’è stato un insabbiamento: ne dobbiamo prendere atto con dolore». La Chiesa cattolica per decenni ha occultato o evitato di prendere posizione contro gli abusi sessuali perpetrati ai danni di bambini e adolescenti, come nel caso di Peter H: il prete pedofilo sospeso due giorni fa che nel 1980, quando già commise i primi abusi fu semplicemente traferito da una diocesi all’altra. Fu l’arcivescovo di Monaco e Frisinga, Joseph Ratzinger, l’attuale papa Benedetto XVI, ad autorizzare il suo trasferimento. Per i 46 sacerdoti irlandesi accusati di aver commesso abusi per 30 anni, il cardinale Sean Brady ha invece espresso vergogna e ha chiesto perdono: il porporato, negli anni Settanta, quand’era un giovane prete, scoprì episodi di abusi sessuali proprio dal racconto delle vittime ma, anzichè denunciare il fatto alla polizia, concordò con queste il silenzio, in nome di un principio di riservatezza e per proteggere un suo confratello. In una lettera ufficiale il pontefice ha espresso i sentimenti di sgomento – di una Chiesa che si “sente tradita”- esortando i responsabili a rimettersi al giudizio della legge terrena, oltre che a quello divino, e ha condannato le gravi omissioni nascoste dietro la facciata di quel silenzio prolungato che ha ceduto alla tentazione dell’ipocrisia e del prestigio, in nome di un pavido, fittizio pudore.

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