Pedagogia integrante
Definire che cosa sia la disabilità è un compito difficile a causa delle tante sfumature e situazioni che si possono incontrare. Negli ultimi anni ci sono stati molti cambiamenti terminologici dovuti alla riflessione e alla volontà di dare una maggiore dignità alle persone con disabilità.
Il mutamento dei termini non è un vezzo lessicale ma una conquista culturale. Storicamente la disabilità viene definita dall’ I.C.I.D.H. (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps) sottolineando la differenza con altri due termini: menomazione e handicap. La disabilità è la limitazione o perdita della capacità di compiere un’ attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali. La menomazione è interpretata come una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. L’handicap è una condizione di svantaggio conseguente a una menomazione o a una disabilità che limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto, in relazione all’età, al sesso, ai fattori socioculturali. Successivamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha redatto un altro documento l’I.C.F.D.H. (International Classification of Functioning, Disability and Health), che non considera più la disabilità come fenomeno di causa e effetto tra i tre elementi sopra descritti, ma in un ottica più positiva e diacronica parla di partecipazione e attività. La salute è interpretata come la discrepanza o meno tra la partecipazione e l’attività ritenute normali per un soggetto. Con l’ I.C.F.D.H. si ha una visione delle cose che le persone sanno fare e non di quelle che non sanno fare. Il passaggio dall’I.C.I.D.H. all’I.C.F.D.H. evidenzia quindi come le cause siano meno importanti degli effetti. Un altro importante traguardo culturale è la legge 104/92, la quale sancisce quali siano i diritti e i doveri di una persona con disabilità, chiarisce le modalità per l’integrazione in generale e quella scolastica in particolare. Una persona con disabilità ha il diritto di frequentare la scuola nelle classi comuni, dall’asilo nido fino all’università. Tale inserimento ha come obiettivo quello di potenziare la comunicazione, l’apprendimento e la socializzazione della persona con disabilità. Questo diritto non può essere impedito dalla disabilità. La parola handicap come abbiamo scritto ha avuto nel tempo un’accezione negativa in quanto confusa con la persona, oppure si cercava di capire solo quello che la persona non era in grado di fare. Il termine Handicap (da hand = mano e cap = cappello) nasce in Irlanda ed era usata dai venditori di cavalli, che mettevano i soldi dentro un cappello per indicare la fine di una transazione. L’handicap nella nostra società spesso è evitato e con esso anche la persona, atteggiamento, questo, che deriva dalla paura della diversità. Gli ultimi studi in ambito pedagogico ritengono sempre più importante l’integrazione scolastica come risorsa di crescita di tutta la comunità scolastica ed extrascolastica. Uno degli autori maggiormente attivi in questo campo è Dario Janes, che ricorda come l’integrazione si attua seguendo le linee guida dell’I.C.F.D.H. La classificazione internazionale della salute ci ricorda che le persone che apprendono vivono in un contesto, sono immersi in un mondo, per questo motivo si devono considerare molte sfumature e non solo quelle riportate sulla diagnosi clinica, che allo stato attuale non è redatta in base ai bisogni educativi speciali. Nella scuola troviamo molte difficoltà di apprendimento che possono essere legate a disturbi comportamentali, a problemi legati alla propria immagine, a difficoltà emotive, a problemi esistenziali o familiari. Come descritto, le cause dei comportamenti non sono solo di natura medica, quindi legati alla sola diagnosi clinica, ma anche ambientali e sociali. L’OMS afferma che la salute si misura in base alla partecipazione ritenuta normale in un determinato contesto. Pertanto non si considera quello che non si sa fare ma quello che si fa: una persona funziona bene se partecipa socialmente, se riveste ruoli nella società in maniera attiva e integrata. I bisogni educativi speciali partono dalla comprensione dell’allievo in fase di apprendimento, della persona e di quello che sa fare ma anche di quello che potrebbe fare, per riconoscere quali sono le reali difficoltà che si incontrano. Una persona che non riesce a partecipare o che è rifiutata ha bisogno di interventi educativi particolari creando una rete di alleanze scolastiche fra tutti i docenti e una rete extrascolastica tra la famiglia e le agenzie che sono nel territorio. Gli insegnanti hanno a loro disposizioni tecniche metodologiche connesse all’opzione costruttivista o alla didattica metacognitiva e parallele saranno le tecniche metodologiche che scaturiscono dall’apprendimento cooperativo, dal tutoring o dalla mediazione fra pari. Essi hanno un ruolo molto importante nel comprende i bisogni educativi e individuare i punti di forza degli allievi. Le ultime ricerche in campo pedagogico ritengono che non esista un solo tipo di intelligenza, ma almeno otto tipi (intelligenza spaziale, musicale, sociale, ecc…) come afferma Howard Gardner nella sua teoria delle intelligenze multiple. Gli insegnanti quindi hanno il compito di creare ambienti stimolanti, per fare emergere i vari tipi di intelligenza, strutturare interventi sul singolo o sulla classe, considerando le differenze di apprendimento di ogni singolo allievo e valorizzando quelle intelligenze dominanti che ogni persona possiede. Una metodologia attiva può dare buoni risultati per l’integrazione. Pensiamo al tutoring che, attraverso la divisione dei compiti tra tutor, attua un insegnamento indiretto e gli allievi apprendono in un clima di inclusione che è importante per lo sviluppo delle competenze educative. Il tutoring può essere fatto sia tra pari sia tra persone differenti e si ha uno sviluppo delle capacità metacognitive, perché non è importante solo apprendere, ma anche riuscire a spiegare un argomento. In tal modo si capiscono i vari meccanismi metacognitivi che sono alla base di ogni apprendimento. Il tutoring offre anche vantaggi legati alla crescita della propria autostima, il successo non è solo individuale ma è nel successo del gruppo, anche una persona con disabilità può fare da tutor agli altri allievi e maturare la dignità che emerge dal lavoro e dalla partecipazione.
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