Passeggiata nel borgo
Mi stupisco, non pensavo fosse così vicina: appena tre minuti di orologio! Probabilmente io avrei percorso Via della Fortezza, ma avrei allungato i tempi ed invece ho bisogno di ottimizzarli se voglio che il gruppo veda il più possibile prima di andar via; deve rispettare una tabella oraria ben precisa e piuttosto ristretta.
Dalla chiesa del Crocifisso con l’affascinante piazzetta dalla quale, se è una bella giornata potranno ammirare un panorama mozzafiato, scendiamo inoltrandoci in un dedalo di vicoli; non passa inosservato un bel murale dalle tinte vivaci recentemente realizzato in occasione di Rocc’Arte. Sarà anche questo – penso – ad aiutarmi nel mio compito di guida; mi piace far provare ai visitatori lo stesso amore e stupore che ogni volta mi prende quando mi avventuro da queste parti.
Stiamo per arrivare in “Piazza Vecchia” e decido che con gli ospiti allungherò il percorso verso destra per far ammirare un’antica piazzetta, o meglio uno slargo, dove ricordo che da bambini si giocava o si prendeva il sole ascoltando viecchie fràule di nonne che sferruzzavano. Ci sono rustiche piante nei vasi ed indolenti felini pigramente distesi al sole che ci osservano. Resisto alla tentazione di chiamare qualcuno che conosco: è l’ora della siesta e le porte sono chiuse (spesso mi è capitato di vedere gli usci spalancati e solo una tenda è posta a scudo della privacy: d’altra parte lassù è così, ti aprono il cuore, oltre che la casa). Quel cortile termina con alcune scalette abbastanza ripide che portano dritte dritte al forno più antico della città. Sorrido: quell’angolo rimasto immutato nei secoli, fa parte di una “città”! Spontaneo affiora il paragone con le moderne cittadine e balza agli occhi quanto di più anacronistico ci possa essere nel confronto!
La mia amica ha con sé una nuova macchinetta fotografica e ne approfittiamo per immortalare qualcosa che colpisce lo sguardo: un muro grigio, scrostato, con qualche traccia d’intonaco: vi si aprono tre finestre che danno sulle scalette sulle quali sostiamo: le persiane di legno, forse un tempo pitturato di grigio, sono fatiscenti, mancano pezzi e sembrano tanti sorrisi sdentati. Una di esse ha i vetri frantumati, una è appena accostata, un’altra è aperta alle intemperie. Verrebbe voglia di entrare, sbirciare, di osservare, curiosare se dentro qualcosa è rimasto, qualche mobile o qualche traccia di chi l’ha abitata prima di abbandonarla per sempre. Lo sguardo si abbassa e, tenuto bloccato da una catena d’acciaio rivestita di plastica rossa, un po’ arrugginito, un vecchio cancello di ferro battuto ne vieta, come è giusto che sia, soprattutto a difesa dell’incolumità altrui, qualsiasi tentativo di intrusione. Le scale sono ancora delimitate da scuro metallo deformato dal tempo e dall’uso. Il muro dell’edificio rivela sassi, mattoni, pietre laviche di basalto o peperino, usati per edificarlo … Ci chiediamo se eredi o parenti avranno intenzione di fare qualcosa per restituire vita a quell’antica dimora: certo il posto non è comodo, non si arriva con l’auto, si fa un tuffo nel passato con tutti i disagi che la vita moderna comporta.
Ed eccoci arrivati davanti al forno e il pensiero elabora qualcosa che sembra uno scioglilingua: ‘Gnese de Rosarella, espressione che ripercorre l’albero genealogico dei proprietari. È chiuso, ma i profumi di pane, pizza e ciambelle degli sposi sembrano colpire i nostri sensi visivo, olfattivo e gustativo… Alziamo gli occhi e un altro murale, dipinto anni fa dal nostro concittadino Miro, apprezzato e compianto artista, ci fa sostare a naso all’insù. Riproduce proprio questo forno, che è il più vecchio di Rocca di Papa, e alcuni personaggi del passato che paiono accoglierci con sorrisi sornioni: – ‘Ndo’ jate d’ésso scazzapennacchiennu? –
Si procede verso sinistra e si arriva in “Piazza Vecchia” , la più antica del nostro borgo: in pietra sperone è tra i soggetti più amati dagli artisti e dai fotografi che si avventurano da queste parti. Solo un attimo ci fermiamo e subito dopo, costeggiando un altro dipinto sul muro di un’abitazione, iniziamo la nostra discesa che ci condurrà poi verso il centro cittadino, quello che quotidianamente viviamo, attraversiamo con l’automobile: si emerge verso il moderno, diradandosi quella pellicola fatata che sembrava avvolgerci nell’assolata passeggiata pomeridiana…
In piazza Garibaldi ammiriamo la veduta strabiliante dell’orizzonte solo per pochi attimi, sedute su nuove strutture di arredo urbano che riproducono panche e sedie come quelle che le nonne portavano fuori dalle case per fare la calza o lavorare a crocè: gli occhi scendono verso il basso e si fanno strada verso un geometrico incrocio di vicoli che girano e scendono, soffermandoci poi sulla bellezza dei colori di un altro murale che fotografa uno scenario agreste molto suggestivo. Poco prima un altro dipinto, simbolo di un gemellaggio artistico con Diamante ci aveva colpite e subito dopo, discese tra quell’intrico di vicoli, ammiriamo una veduta di Rocca di Papa riprodotta con calde cromaticità che richiamano proprio quelle appena assaporate durante la nostra passeggiata.
Decido che la simulazione può bastare: ho calcolato i tempi e rientro abbondantemente nei parametri stabiliti… risaliamo verso il Duomo per tornare al punto di partenza e gli occhi si soffermano divertiti sul grande portale: tra le strutture sono bloccati alcuni palloni di calcio, incastrati tra il muro e le traverse. Compare nella mia fantasia lo sguardo e i commenti delusi dei bambini che giocando sul sagrato hanno visto concludere in questo modo la partitella e di malavoglia hanno perdonato, chissà, il bomber avventato che ha sottratto per sempre il loro oggetto di gomma indispensabile per continuare la gara. La mia accompagnatrice fotografa la singolare situazione e, durante la risalita, chiacchierando e commentando non si avverte alcuna fatica, mentre la mente si immerge di nuovo in atmosfere del passato attraversando ancora una volta quel fantasioso gnommaru* de viculi e viculetti.
*gomitolo
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