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“Parco Chigi in Ariccia – L’ultimo frammento del Nemus Aricinum”, ‘magiche’ fotografie di Gianna Petrucci

“Parco Chigi in Ariccia – L’ultimo frammento del Nemus Aricinum”, ‘magiche’ fotografie di Gianna Petrucci
Novembre 06
18:37 2022

Ariccia da qualche lustro a questa parte vive una bella stagione di rinascita: apertura di mostre e attività a Palazzo Chigi, con la sua straordinaria collezione pittorica Barocca; la stessa antica dimora ospita anche molti concerti della ‘rediviva’ tardo secentesca Accademia degli Sfaccendati fondata per volere di Flavio Chigi, con ottimi pomeriggi e serate musicali. Le messe in scena teatrali di ArteIdea, (fra spettacolo e visita guidata alcune) presso Palazzo e ‘Barco’ Chigi nella bella stagione o nel piccolo e bel teatro Gian Lorenzo Bernini posto nella chiesa sconsacrata di San Nicola Di Bari, progettata da Luigi Bernini, fratello del più noto a cui è intitolato il luogo oggi.  

Al centro di questo ‘smalto’ ritrovato, perciò, troviamo sempre l’antico Palazzo e il Parco che rappresentano i luoghi ideali nei quali ogni cosa può rinascere per Ariccia e Gianna Petrucci con il bel libro fotografico Parco Chigi in Ariccia – L’ultimo frammento del Nemus Aricinum, li celebra con grande capacità.

L’autrice in apertura circostanzia il parco fra dati oggettivi: «Parco Chigi 28 ettari di Bosco protetto» raccontandone le formazioni boschive fra querce quali la Farnia, il Cerro, la Roverella e le altre specie tra cui il Lauro, il Carpino bianco e l’Acero d’Ungheria, traendo informazioni da testi che sono la storia stessa del bosco dal punto di vista naturalistico.

Ma poi ne precisa la conoscenza partendo da una cifra affettiva: «Mio nonno materno, Edmondo Palombini, dal 1940 al 1949, fu il giardiniere di Palazzo Chigi mentre mia nonna vi lavorava come inserviente. (…) a mio nonno era affidato il compito di spostare vasi e creare quinte sceniche di verde nel cortile e lungo le scalinate del palazzo. Così il Parco è entrato nella storia della mia famiglia. Un legame speciale».    

E poi lo mostra, il Parco, attraverso l’obiettivo della sua, o delle sue, fotocamere. Un libro così non si realizza in breve, ma immergendocisi per 5 o 6 anni in ogni stagione e così il ringraziamento va anche ai Picchi rossi minori e al Picchio muratore che sono stati immortalati…

Le foto a tutta pagina, sulla carta lucida, estremamente vive sono ‘l’alta moda’ della foto in natura e non perché abbiano, con tutta probabilità, l’intenzione di esserlo, scovando trame e luminescenze tra le foglie verdi o ruggine, fra i tronchi protesi o marcescenti, ma perché questo è un modo per evocare lo splendore, per entrarci dentro, quel che qualsiasi naturalista, o appassionato di fotografia naturalistico, o esteta, spererebbe per sé: essere ovunque accanto agli alberi, alle bacche, alle samare, agli strobili, alle drupe, come alle cortecce, ai rami, e alle chiome, alle corolle e appresso alle pietre antiche, agli archi che sembrano volare, alle fontane, ai gradini muschiosi. Ad osservare come se l’occhio fosse diventato un teleobiettivo o un drone, o noialtri si fosse diventati degli uccelli che sorvolano la meraviglia dell’acqua che scorre o quel che resta delle architetture d’un parco che lontano dal giardino formale, divenne romantico, probabilmente subito, data la commistione sincera di natura e manufatti presto colonizzati da muschi e licheni. Che significa anche, essere stato subito abbracciato dal trascorrere dei giorni, degli anni e poi dei secoli, fondamentali per l’umano in ogni loro attimo, trascurabili per tutto ciò che non è umano, ed essere nella Storia.

Quel Parco, simile a quel che vediamo oggi, poteva guardarlo Sigismondo Chigi (1736-1793), i nonni della fotografa, noialtri e potranno vederlo le future generazioni. Un luogo che è ancora un miracolo: un cesto di bosco relitto sospeso tra il ponte, il palazzo, le quinte del mare lucente in fondo e le quinte di verde in alto, che nascondono le case in un cannocchiale ideale che guida lo sguardo fino al mons Albanus

Gianna Petrucci, fotografa, grafica, guida turistica, giramondo quando è possibile, come molti di noi per i quali è facile riconoscere l’eccezionalità di un luogo dopo aver visto e vissuto molti paesaggi, fantasiosa e schietta, ci mostra il suo Parco Chigi. Nel riguardare le belle immagini più di una volta senza mai stancarsi, quella selva resta domestica e misteriosa ad un tempo: addomesticata per qualche centinaio di metri dall’ingresso in più direzioni e poi intonsa e fonda, una meraviglia della coabitazione natura/ uomo. Ectoplasmi la abitano in forma di maschere che appena sbalzano dalla piattezza d’un antico muro quasi a volerci raccontare una storia, tra felci e arbusti e fontane ‘animate’ che stillano centinaia di fili d’argento; cupe porte (fra i mondi?), piccoli batraci, specchi d’acque che raccontano giorni, molli o colorate corolle fiorite.

Gianna Petrucci ci mostra il suo Parco Chigi ed è così che quel Parco diventa un po’ anche nostro. Così come il poeta Ovidio lo colse nel terzo libro dei Fasti: «Circondata dalla selva oscura della Valle Aricina, è la località consacrata all’antica religione», dell’ineffabile, dell’eterno… (Serena Grizi)

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