Papa Francesco e la giustizia
Papa Francesco, ricevendo una delegazione di avvocati cattolici di ogni parte del mondo, è intervenuto su vari importanti profili della giustizia penale. I media hanno dato un rilievo grandissimo (in alcuni casi esclusivo) al tema dell’ergastolo, definito dal Pontefice come una «pena di morte mascherata». Ma ci sono state altre sue riflessioni che meritano altrettanta attenzione.
In particolare le veementi parole contro la piaga della corruzione e contro il malfunzionamento del sistema giudiziario, che colpisce solo i pesci piccoli e lascia liberi i grossi. E poi il biasimo per la carcerazione preventiva, considerata non in sé quanto piuttosto con riferimento agli abusi che se ne possono fare, unitamente alla condanna senza riserve delle pessime condizioni di vita in carcere, a partire dal sovraffollamento.
Anche in carcere l’illegalità si combatte con i diritti. Un carcere che invece non rispetta la dignità delle persona e neppure gli spazi vitali, un carcere degradante è una palestra di delinquenza e di affiliazione ai gruppi criminali. Con conseguenze nefaste non solo per il singolo detenuto, ma anche per la società stessa, che vede messa ancor più a rischio la sua serenità e sicurezza, per l’ovvia ragione che ogni detenuto recuperato, invece di tornare a delinquere, cessa di essere un pericolo per la collettività.
La pratica infame delle torture
Il Papa si è anche scagliato contro la pratica infame delle torture e contro l’esistenza in varie parti del mondo di campi di concentramento o prigioni ‘speciali’ (il pensiero di tutti è andato a Guantanamo). Durissima la condanna delle ‘esecuzioni extragiudiziali’ che purtroppo affollano le cronache di questi tempi sempre più cupi. Non meno dura l’esecrazione contro le nefandezze – praticate da alcuni Stati e tollerate, se non favorite, da altri – delle «extraordinary rendition», cioè delle azioni di cattura/deportazione/detenzione di elementi ‘ostili’ in quanto sospettati di terrorismo, eseguite in forme illegali e clandestine.
In sostanza il Papa ha sviluppato un discorso molto ampio e di alto livello: un indirizzo preciso per tutti gli uomini di buona volontà che operano nel settore delle giustizia penale. L’obiettivo è dare alla giustizia la forza di vincere il male con il bene. Che non significa affatto sminuire il male. Il male resta male: quindi nessun buonismo, perdonismo, giustificazionismo. Sarebbe vanificare la giustizia. Il problema è provare, per quanto difficile sia, a inventare forme di risposta al male che siano capaci di contenerlo, ricostruendo il tessuto sociale diviso da inimicizie profonde.
La chiave è l’attenzione verso la persona, anche quando ha sbagliato. Concetti che tendono a una giustizia dal volto umano, capace di accertare le eventuali responsabilità nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo ed evitare che la pena scivoli nelle spirali tortuose della persecuzione vendicativa, finendo per essere (come si è visto) inefficace se non controproducente.
Ecco allora, nell’insegnamento del Papa, qual è il senso di una giustizia giusta: evitare che il presunto colpevole sia sottoposto a pratiche e trattamenti lesivi della sua dignità, ed evitare che ci si accanisca su chi sia dichiarato colpevole fino a schiacciarlo e impedirgli di cambiare.
Giancarlo Caselli
(Da: I siciliani giovani, novembre 2014)
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