IL PANE PIU’ CARO DELLA CARNE. FENOMENO EPOCALE DISTORSIVO DI CULTURA E MERCATO.
L’allevamento è fatto di animali, esseri umani e territorio, nelle condizioni attuali soffrono tutti. E’ il grido d’allarme lanciato dall’Ordine dei Medici Veterinari di Roma e provincia in occasione del convegno “Il Punto sul Benessere degli animali da reddito e la continuità della Zootecnia nel Lazio”. Nella complessità degli attuali schemi di produzione stiamo assistendo ad un fenomeno epocale distorsivo di cultura e mercato: i prodotti animali, più difficili da produrre, costano paradossalmente meno di quelli di origine vegetale, con il risultato che perfino il pane risulta essere più caro senza che il consumatore si renda conto dell’anomalia.
Veterinari, dirigenza veterinaria, allevatori, agricoltori, agronomi e tecnici si sono riuniti all’evento proprio per discutere e confrontarsi sulla drammaticità della situazione in merito alla Zootecnia (l’allevamento degli animali produttori di cibo) che nel centro e sud Italia ormai è al limite della sopravvivenza. Secondo i dati dell’Eurobarometro i cittadini europei tengono molto al benessere animale ma non sono correttamente informati sui cicli di produzione e costi.
Un esempio? Per tutelare l’acquirente è stato introdotto l’obbligo dell’etichettatura negli alimenti, in cui sono registrare le indicazioni del paese d’origine o del luogo di provenienza, ma questo non è sufficiente a sviluppare nel consumatore la consapevolezza della complessità dei fenomeni dalla produzione alla vendita. La filiera corta in cui si incontrano produttore e consumatore può essere facilmente compresa ma la maggior parte del cibo viene acquistato alla fine di un lungo percorso sconosciuto in cui le parti deboli costituite da agricoltori, animali e territorio agricolo vengono compresse da interessi più potenti. Il potere del consumatore sarebbe enorme se lo volesse veramente utilizzare non tanto spendendo un po’ di più (cosa che dai dati dell’Eurobarometro sembra poco disposto a fare) ma approfondendo le sue conoscenze sul cibo e la sua origine e riportandola nelle sue scelte d’acquisto.
Bisognerebbe passare dal paradigma dei diritti del consumatore a quello dei doveri del consumatore.
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