Pane nostro
Pubblicato dalla Garzanti fa ampiamente parlare di sé per l’argomento universale trattato: il pane. L’autore di Pane Nostro, appunto, è lo scrittore russo croato Predrag Matvejevic, nato a Mostar nel 1932, docente di vasta eco ed artefice di numerosi volumi tradotti in tutto il mondo. La sua libertà di espressione è stata a rischio sino a qualche mese fa, dopo la di lui condanna del Tribunale di Zagabria, nel 2005, per aver denunciato, nel suo saggio I nostri talebani, alcuni scrittori in stato di connivenza con i leader nazionalisti di Serbia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina. Pane nostro ripercorre, in oltre 230 pagine, la forza e la bellezza del «pane mamma della terra» come lo ha definito, in postazione al volume, Erri De Luca e del suo padre grano il cui «seme cresce misteriosamente» a detta di Enzo Bianchi nella prefazione al medesimo testo.
Una vera e propria epopea del corpo e dello spirito, questa, che in oltre venti anni ha ripercorso tutti gli aspetti del cibo caro e prediletto agli dei, al genere umano ed animale. Vent’anni di poesia, di sapienza, di arte, di storia, di religione e teologia. Di umanità, di tutta quell’umanità che nel suo nome ha combattuto gloriosamente anche a costo della vita stessa. Di quell’umanità che lo ha portato da un continente all’altro e si è fatta da lui accompagnare nelle più disparate vicende. Nel nome della fame, ricchezza, guerra, pace, violenza, amore, vita, morte, dolore e saggia speranza. «È nato nella cenere, sulla pietra. Il pane è più antico della scrittura e del libro».
E così, con un stile circolare di ampio respiro, Matvejevic ci incanta ed incatena in una narrazione fluida, ricca, ricchissima di realtà e mitologia, di verità ed esoterismo, di natura ciclica ed arcana all’uomo nel suo profondo ritmare. «Il seme è nel chicco, nel frumento, nel nome. La terra, il sole e l’acqua lo aiutano a germogliare, a cresce re a fruttificare…». Ed ancora orzo, farro, riso, miglio, avena, segale, granoturco… «C’è dunque grano in tutti gli angoli del mondo, ma ovunque ci sono anche quelli che non ce l’hanno». Ed è pensando proprio a loro che il pane va protetto, amato e non inutilmente sperperato o lottizzato. Pane non solo o non più religioso ma anche sociale. La laicizzazione post Illuminismo e la rivoluzione francese hanno fatto dei covoni di fieno, dei fasci, delle spighe e dei conseguenti contadini e fornai potenti simbologie espressive dell’uomo inteso come popolo e forza sociale trainante della base ed alla base.
Sono, essi tutti, dunque, amalgamati in una storia universale che si trasmette da una all’altra generazione. O così dovrebbe. Sperando sempre che sia in quell’agognato segno che così vuole (dal Vangelo di Filippo): «Saremo in armonia con noi stessi se diventeremo degni del pane di cui abbiamo sentito il glorioso mistero… Quel pensiero ha trovato la sua casa in noi… Esso ci salva dall’insopportabile pesantezza della barbarie, ci incivilisce del tutto fino a farci uomini completi di corpo e anima».
Sperando sempre, appunto…
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