Palazzo Bentivoglio, Gualtieri (RE) | 15 maggio – 14 novembre 2021 | LIGABUE, LA FIGURA RITROVATA. 11 artisti contemporanei a confronto
Palazzo Bentivoglio, Gualtieri (RE)
15 maggio – 14 novembre 2021
LIGABUE, LA FIGURA RITROVATA
11 artisti contemporanei a confronto
a cura di Nadia Stefanel e Matteo Galbiati
con la consulenza scientifica di Francesco Negri
Ingresso alla mostra su prenotazione
Per la prima volta nella sua storia, la Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri (RE) si apre agli artisti del presente, presentando un inedito confronto tra Antonio Ligabue ed undici artisti contemporanei – Evita Andùjar, Mirko Baricchi, Elisa Bertaglia, Marco Grassi, Fabio Lombardi, Juan Eugenio Ochoa, Michele Parisi, Ettore Pinelli, Maurizio Pometti, Giorgio Tentolini e Marika Vicari – capaci di connettere, attraverso la potenza dell’immaginazione, la realtà che conosciamo con un altrove denso di mistero e di speranza.
Curata da Nadia Stefanel e Matteo Galbiati, la mostra “Ligabue, la figura ritrovata. 11 artisti contemporanei a confronto”, in programma dal 15 maggio al 14 novembre 2021 nel Salone dei Giganti di Palazzo Bentivoglio a Gualtieri (RE), nasce da un nuovo corpus di opere di Antonio Ligabue, raccolte e selezionate da Francesco Negri.
Grazie al rapporto costruito negli anni, insieme al padre Sergio, con i numerosi collezionisti di Ligabue, Francesco Negri ha avuto la possibilità di proporre per la mostra sedici opere di grande valore, tra le quali “La leonessa con zebra” del 1958-59, che costituisce una prima assoluta per Gualtieri, non essendo stata presente nemmeno nell’antologica del 1975. Il percorso espositivo comprende, inoltre, il piccolo “Autoritratto” del 1940-42, tra i primissimi realizzati dall’artista all’inizio del suo secondo periodo artistico, ed alcuni dipinti provenienti da precedenti importanti collezioni, come “La lotta di galli” del 1958-59 e l’“Aratura” del 1944-45, appartenuti rispettivamente a Walter Chiari e Romolo Valli. Come sottolinea lo stesso Negri, in vista della mostra «alcune tele sono state sottoposte ad un restauro conservativo per togliere quella “vernicetta” che Ligabue amava distribuire abbondantemente sui suoi quadri per farne risplendere i colori, ma che il tempo e la non qualità della vernice stessa rendeva velati e scuri. Un grazie, pertanto, a loro, ai collezionisti per la disponibilità nel prestare le opere per l’esposizione e per aver operato in sinergia con me in una rinnovata fiducia e reciproca stima».
L’immagine guida della mostra è una “Figura di donna” del 1953, abbondante nelle forme, tipica dell’Emilia del benessere post-bellico, ma anche vicina alle Veneri paleolitiche (come la “Venere di Chiozza”, ritrovata nelle zone di Scandiano nel 1940). Un’opera di grandi dimensioni che costituisce, come spiega Nadia Stefanel, consulente artistico della Fondazione Museo Antonio Ligabue e co-curatrice dell’esposizione, «una sorta di pubblicità ante litteram», in quanto realizzata per una ditta del territorio che produceva impianti di irrigazione, ma anche la sintesi della «potenza attrattiva di ciò che è sempre mancato a Ligabue, una donna, per essere contraccambiato in quell’amore mai corrisposto di una vita». «Attraverso l’esposizione – prosegue Stefanel – si è voluto proporre un altro modo per leggere la “figura”, portando il nostro sguardo a riconciliarsi con la semplicità, la poesia o la violenza pittorica di Antonio insieme a nuove sollecitazioni, nuove visioni, nuove interpretazioni».
Agli artisti invitati, i curatori hanno chiesto di porsi in dialogo con le opere di Ligabue, testimonianza di un percorso in cui la figura, in una prima fase caratterizzata da una precisa connotazione, viene successivamente sottoposta ad una estrema sintesi, fino a dissolversi nel colore.
«Accanto alla figura di Ligabue – dichiara Matteo Galbiati, storico dell’arte, docente e co-curatore – abbiamo voluto riunire alcuni giovani artisti che riflettessero, approfondendoli, anche a distanza, le sue stesse suggestioni; che avessero espressività fondate sugli stessi gangli sensibili. La scelta di questi artisti ha guardato, allora, con precipua attenzione alla specificità delle loro ricerche che, senza condizionamenti o scelte d’occasione, hanno sempre posto l’essenza della loro visione proprio sull’animo come centro di valore per le loro esperienze estetiche. Il tema e il concetto di figura rappresentata è il mezzo per oltrepassare l’immediatezza del resoconto visibile e lasciar affiorare la tensione e la passionalità di immagini che trasfigurano esperienze comuni e condivise».
Il percorso espositivo si articola in due sezioni: la prima si sviluppa intorno all’energia epidermica, carnale e fisica del colore e del suo realizzarsi attraverso il farsi concreto nella pittura (Andùjar, Baricchi, Grassi, Pinelli, Pometti); la seconda pone l’accento sul potere trasfigurante dell’arte, che coglie l’immagine nell’istante in cui diventa memoria, sogno, miracolo, apparizione, fissandola prima di una sua inesorabile sparizione (Bertaglia, Lombardi, Ochoa, Parisi, Tentolini, Vicari).
Le rappresentazioni pittoriche, attraverso cui Evita Andújar (Écija, Spagna, 1974) esprime la sua poetica, riflettono le molteplici sfaccettature della nostra ordinaria quotidianità.
Con Mirko Baricchi (La Spezia, 1970) ci ritroviamo proiettati in un’atmosfera onirica, tra colori con richiami boschivi e intrecci vegetali, dove possiamo quasi sentire l’odore del muschio, della corteccia e dell’acqua fresca che scorre.
La leggerezza e la trasparenza degli elementi creano un’atmosfera onirica potente, una testimonianza costruita da Elisa Bertaglia (Rovigo, 1983) su metafore e simboli della natura che risuonano come un canto ancestrale rimbombante nella più profonda interiorità umana.
Attraverso l’inaspettata combinazione armonica di decorazione e iperrealismo, due dimensioni che sembrano incontrarsi incidentalmente, Marco Grassi (Milano, 1966) ci permette di assistere al superamento dell’arcaica concezione di ritratto, regalando all’osservatore la possibilità di dare vita a un dialogo silenzioso con le tacite, ma vibranti, figure protagoniste dei suoi dipinti.
Fabio Lombardi (Gavardo, Brescia, 1993) si focalizza sulla decadenza in tutte le sue forme per renderla consapevole testimonianza della natura umana.
La pittura di Juan Eugenio Ochoa (Medellin, Colombia, 1983) si prefigura come atto di memoria. I volti rappresentati attraverso la stratificazione, le trasparenze, il mistero ed il vuoto sono caratteristiche essenziali per richiamare l’uomo al sogno.
La genesi dei lavori di Michele Parisi (Riva del Garda, Trento, 1983) prende vita da un misto di interessi che, portandolo a muoversi tra fotografia e pittura, dà così vita ad un linguaggio personale e intimo.
Nel secolo delle immagini, la televisione, il web e i giornali sono fonti inesauribili di rappresentazioni di conflitti, scontri e momenti di guerriglia, che divengono i temi principali tramite i quali Ettore Pinelli (Modica, Ragusa, 1984) conduce un’analisi antropologica finalizzata ad indagare gli aspetti più istintivi dell’uomo.
La produzione artistica di Maurizio Pometti (Catania, 1987) risulta delicata e ricercata, ma allo stesso tempo notevolmente tormentata, ripercorrendo scene familiari e della sua infanzia che hanno luogo in ambientazioni cristallizzate in un istante infinito, il quale porta con sé sentimenti, sensazioni e reminiscenze passate che affiorano nel presente.
Giorgio Tentolini (Casalmaggiore, Cremona, 1978) sembra faccia dello sfocato, della dissimulazione e del gioco chiaroscurale i capisaldi della sua poetica. Partendo da uno studio prettamente fotografico trasforma gli attimi catturati dallo scatto in opere che, a prima percezione, risultano bidimensionali. In realtà, i suoi lavori nascono dalla stratificazione di livelli di materiale, approdando in una tridimensionalità creando un vero e proprio bassorilievo in negativo.
Lo stile di Marika Vicari (Vicenza, 1979), semplice ed essenziale, è caratterizzato da un forte rigore compositivo e tecnico, che conferisce equilibrio e pacatezza alle opere, le quali sembrano restituire una visione analitica dei paesaggi rappresentati. La delicatezza dell’acquerello sembra fondersi con la rigidità della grafite nera, dando vita a un forte contrasto inaspettatamente armonioso e lirico.
Attraverso gli undici artisti presenti si propone un altro modo per leggere la “figura” – dell’uomo e del suo ambiente – che, accompagnandosi alla semplicità vera di Ligabue, sa riconciliare il nostro sguardo con presenze che sanno ritrovare se stesse e il proprio essere al di là del tempo.
Promossa dal Comune di Gualtieri e dalla Fondazione Museo Antonio Ligabue, la mostra è realizzata in collaborazione con Regione Emilia-Romagna e Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, con il contributo dei Soci della Fondazione Museo Antonio Ligabue – EmilBanca (main sponsor), Boorea, Coopservice, Landi Renzo –, di Apart Art Advisory e Padana Tubi.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo Vanillaedizioni con i testi istituzionali, i testi dei curatori ed un ricco apparato iconografico. I pannelli di sala che introducono il visitatore alla ricerca degli artisti contemporanei, così come le schede presenti nel catalogo, sono realizzati dalle studentesse del corso di “Didattica dei Linguaggi Artistici” (prof. Matteo Galbiati) dell’Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia.
Accesso al museo solo su prenotazione: sabato ore 10.00-13.00 e 15.00-19.00, domenica e festivi ore 10.00-19.00. Per informazioni e prenotazioni: T. +39 0522 221853, M. +39 349 2348333, info@museo-ligabue.it, www.museo-ligabue.it.
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