Omosessualità nell’antica Grecia – 2
Il problema di considerare l’adolescente oggetto di piacere era evidenziato anche dalle espressioni che i greci utilizzavano per chiedere questi favori: “faresti la cosa?” (“diaprettesthai to pragma?”); si esclude l’idea che un ragazzo potesse provare piacere nell’atto sessuale con un uomo: il motivo per cui egli gli si concedeva è da ricercarsi nella stima che nutriva nei confronti dell’adulto. Il giovane si concedeva per il semplice motivo che un uomo virtuoso e degno di nota che lo amava meritava di essere ricompensato mediante il favore sessuale. Per quanto concerne l’omosessualità femminile, questa era concepita come negativa in quanto la donna doveva essere esclusivamente eterosessuale ad eccezione di Saffo, vissuta all’inizio del II secolo A.C, che era ritenuta abnorme. Per capire come i greci giudicassero una donna con tendenze omosessuali, può tornare utile fare riferimento a un testo in cui compare un dialogo tra due cortigiane; l’una chiede all’altra il motivo per il quale intrattiene una relazione con una donna e l’interessata risponde che si tratta di una donna ricca e terribilmente maschile. Da ciò si evince che l’omosessualità femminile era per greci semplicemente un’attrazione nei confronti di atteggiamenti o tratti mascolini che, ravvisati in una donna, risvegliavano da parte di altre donne il desiderio maschile.
Le interpretazioni riguardanti la diffusione dell’omosessualità in Grecia, che gli studiosi di Storia hanno fornito, sono varie. Per molto tempo è stato difficile trovare qualcuno disposto ad affrontare questa tematica a causa della cosiddetta grecità, ossia quell’alone di rispetto quasi sacro verso una millenaria civiltà come quella greca, e, proprio per questo, all’inizio del Novecento fu elaborata una teoria stando alla quale le prime forme di rapporti omosessuali furono introdotte dai Dori attraverso le varie ondate d’invasioni del territorio greco. Negli anni Cinquanta si affacciò un’ulteriore spiegazione secondo la quale tali atteggiamenti vanno collegati ai moderni episodi di omosessualità verificatisi nell’ambito del cameratismo militare, anche se tale teoria non risulta essere molto solida in quanto i giovani greci vivevano in famiglia. Un’ultima tesi molto accreditata e largamente diffusa, vede queste pratiche come dei riti di passaggio: il fanciullo si sottoponeva a delle prove prima di passare dalla pubertà all’età adulta; degli indizi a sostegno di questa concezione sarebbero delle iscrizioni che trattano di rapporti omosessuali rinvenute nei pressi di un Tempio greco. Nell’antica Roma, che pure trasse ispirazione da molte usanze e modelli greci, il fenomeno dell’omosessualità non era molto marcato; veniva infatti a mancare il luogo principale nel quale nell’antica Grecia avevano luogo gli incontri tra giovani e adulti: la palestra. Inoltre, per prevenire anche la più remota possibilità di incappare in malintenzionati, ai ragazzi veniva messa una targa al collo recante la scritta: “ragazzo di buona famiglia”. Nonostante ciò, anche in epoca romana era presente la bisessualità che si sostiene esistesse già prima del contatto con i Greci. Solitamente i rapporti omosessuali avvenivano con gli schiavi, con stranieri o con coloro che non possedevano la cittadinanza. Uno schiavo non poteva fare a meno della passività, per un liberto era un dovere mentre per un uomo libero essa rappresentava un crimine. A Roma era tollerata, più che in Grecia, la prostituzione maschile. Mentre nell’antica Grecia la prostituzione sarebbe stata concepita come elemento di disturbo e di degrado sociale, ciò non avveniva a Roma poiché a commettere tali atti erano gli schiavi o stranieri. Non va sottovalutato che nel tardo impero romano fu la condanna cristiana a rendere l’omosessualità un reato (stuprum); tuttavia la terminologia usata per giustificare la condanna non è cristiana, ma è ripresa dalla filosofia greca e non dalla teologica ebraica. Il concetto di “contro natura”, per esempio, viene da Platone e non dalla Bibbia. Per l’Ebraismo l’omosessualità non è contro natura ma semmai “impura”, “abominazione” (to’ebha). Nella proibizione dell’omosessualità esisteva, almeno in parte, il desiderio di tutelare il partner passivo dal disonore sociale che derivava dal suo atto. Combattendo contro l’idea che alcune persone (quelle libere) hanno il diritto di usare il corpo di altre (quelle schiave) in qualunque modo desiderano, era abbastanza ovvio chiedere la condanna di un atto che era considerato dalla stessa mentalità pagana uno “stuprum” (un abuso) anche quando avveniva tra persone consenzienti.
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