Nullatenenti delle relazioni
Ora che i riflettori sono stati spenti e la grancassa mediatica ha smesso di emettere suoni scomposti, forse sarà possibile ricordare con maggior delicatezza e buon senso Matteo e i suoi sedici anni. Forse sarà possibile rammentare il valore delle parole, quelle che non intendono farsi condizionare da altre più altisonanti, lanciate a grappolo per creare una labirintite artificiale, quelle parole che possono chiarire le responsabilità vere, che non stanno sulle labbra dell’intrattenitore di turno, o sulla battuta pronta di chi vuol rimanere dietro le quinte del dolore, escludendo la possibilità di una via di emergenza che non di rado salva la vita. La scuola è un ammasso informe di linee didattiche, spesso contrapposte alle relazioni importanti che fanno crescere. La famiglia è diventata un ibrido travestito di buone intenzioni. I giovani una tribù di selvaggi tutti uguali, omologati, disordinati. Queste erano e sono le etichette e i luoghi comuni con cui si liquidano assai malamente le tragedie di una società caduta in disuso, per l’incapacità di comprendere quanto incivile sia disperdere la propria coscienza critica, anche nel caso questa sottoscriva un malcostume diventato trend nazionale. Quanto diseducativo può diventare il tentativo di lenire un dolore lacerante con la divulgazione di verità contraffatte. Chi la scuola l’ha abbandonata a un’età obbligante, sa bene che il rimpianto non è una condizione attenuante. Chi nella famiglia non ha trovato amore che protegge ma una via di fuga alla cieca, sa bene come la selva oscura può ingannare al punto da farti soccombere. Chi in gioventù ha bruciato le tappe del tutto e subito, sa bene come è facile perdere la propria dignità e depredarne parte agli altri. Questa è la società che abbiamo in sorte, non era migliore quella precedente, piuttosto siamo cambiati noi, sono cambiate le sensibilità e quindi le attenzioni da esibire: nella fisicità che irrompe nella domanda, nella fragilità che traspare alla risposta. Atteggiamento diseducativo a tal punto da semplificare la scomparsa di Matteo come il risultato di una debolezza inconfessabile. Allora basterebbe guardare negli occhi quei ragazzi idioti e riferirgli che gay potrebbe significare “valgo quanto voi”, mentre loro, i bulli del “10 contro 1” , “non valete quanto Matteo”. Basterebbe pensare alla scuola come a un luogo che insegna dalle retrovie la storia che appartiene a ognuno, incocciandone le anse e gli anfratti, mai delegando ad altri oneri propri, mai caricandosi deleghe che non le competono. Basterebbe davvero accettarla questa sfida sbraitata dal bullismo contemporaneo, da questi nullatenenti delle relazioni, e facendolo evitare inutili paragoni con il passato, piuttosto cercando di ricordare Matteo con coraggio e coerenza, con la fermezza necessaria a educare al dialogo e all’ascolto.
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