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Pubblicato il libro di Armando Guidoni “Verso il Robot sapiens. Un approccio umanistico alla cibernetica”

Pubblicato il libro di Armando Guidoni “Verso il Robot sapiens. Un approccio umanistico alla cibernetica”
Giugno 22
10:33 2018

Considerazioni e riflessioni 

E io dico: beato il geometra nel quale uno studio consumato delle scienze astratte non avrà affatto indebolito il gusto per le belle arti; al quale Orazio e Tacito riusciranno altrettanto familiari quanto Newton; che saprà scoprire la proprietà di una curva e sentire le bellezze di un poeta…

Denis Diderot

Non voglio (né lo potrei) fare una prefazione a un libro così intenso, nuovo e – per me – distante dalle mie competenze. Però, proprio mentre scrivo questi appunti, mi chiedo: perché mai “distante dalle mie competenze? E perché?”.
Qui sta il punto delle osservazioni nate durante la lettura di Robot sapiens. Ma devo fare un lungo passo indietro.
Leggevo, fra i molti giornali che giornalmente capitano sul mio tavolo, anche un interessante mensile castellano, Controluce, il quale, oltre a pubblicare articoli di notizie locali e osservazioni di carattere generale, aveva una pagina dedicata alla poesia (cosa che non è inusuale in Italia, patria di santi e di poeti: di santi sempre meno, ma di poeti sempre più). È una mia deformazione professionale quella di osservare fino a che punto la ‘non conoscenza’ della metrica italiana porti i vati ad andare a capo, anche con una congiunzione sola credendo di aver trovato la grotta dell’Elicona. Per farla breve, mi capitò alcune volte di notare brevi composizioni che fondevano il dato scientifico, o meglio il pensiero scientifico, con una liricità netta e lucida. Vale a dire: si era fuori dalla poesia del cuore (come scriveva il grande e compianto Giorgio Bàrberi Squarotti) nel senso del tardo romanticismo agonizzante ma mai morto, anche restando nell’emozione di un’autentica resa di coscienza secondo la quale al mondo le cose non si dividono con gli aggettivi manicheisti a cui molti ancora sono proni sia nell’ideologia sia nella scrittura. Insomma, volli saperne di più. Vedevo un nuovo spessore della poesia in sé, che si agganciava al sapere scientifico-tecnologico. Così divenni amico di Armando Guidoni, il quale – dopo reiterate richieste da parte mia di sottopormi a lettura le sue composizioni – cedette con poca convinzione, non ritenendosi un poeta, poiché, da come si evince dal presente testo, egli ha lavorato nel settore della cibernetica, della ricerca scientifica, cioè lontano dalla sfera umanistica (ma questo lo rettificherò a breve). Si convinse forse perché gli dissi: «Vedi? Questa valanga di carta appartiene a vari autori che mi chiedono un parere. Nel caso tuo, sono io a pregarti di farmi leggere le tue cose.»
Erano quattro volumi di ‘frammenti’, dai quali poi – secondo una selezione a due – è uscito Gocce di emozioni con un saggio critico del sottoscritto, in cui sottolineavo, appunto, la fondamentale unità di quello che siamo soliti chiamare lo ‘spirito umano’ e l’astrazione delle varie categorie separate, mentre la matrice è unica: l’uomo, cioè il suo cervello (parola che ritroveremo nella lettura di Robot sapiens). Tuttavia, mi accorsi che molte composizioni umanistico-scientifiche Guidoni le aveva saltate nella pubblicazione, lasciandone però altre sufficienti per formulare l’idea che io volevo dare nel mio brano introduttivo.
Ciò premesso, il passo è leggero per arrivare già a una prima conclusione: se andiamo ai primordi del pensiero umano (perché sono convinto che pure gli animali e le piante pensino a modo loro in un loro codice, dato che tutto l’universo, secondo la mia limitata cultura, è intelligente), l’unità della radice e del procedimento non era ancora scissa in specializzazioni perniciose. Filosofia e scienza andavano a braccetto (Pitagora fino a Kant-Laplace), poesia e filosofia erano talmente fuse che non c’è poeta senza il filosofo (Omero, Dante, Leopardi, i grandi tragici greci, Orazio, Lucrezio, Shakespeare e mille altri). Non solo, ma quando il potere della mente raggiunse vertici non più ritrovati, le arti e la scienza si unirono in osmosi in uomini come Leonardo, Leon Battista Alberti, e di nuovo Dante che è la summa di ogni sapere illuminato dal fuoco della Poiesis. Ma gli esempi non finirebbero qui: anche Goethe si applicò alla teoria dei colori e apprezzò per la prima volta Schopenhauer per tali studi paralleli.
Siamo stati noi a spezzare l’unità del sapere. Fëdor Dostoevskij, duecento anni fa, ironizzava col suo genio: «In futuro, se un malato andrà dall’otorino, si sentirà dire: io sono specialista della narice destra; lei soffre nella sinistra: deve consultare un mio collega studioso della sinistra.»
Guidoni, con le sue poesie prima, con quest’opera chiara e densissima poi (che contiene, nel suo itinerarium una valida, sebbene non sbandierata, sostanza didascalica) ha voluto dimostrare che la frattura fra umanesimo e scienza non esiste. Ed io sono pienamente d’accordo, anche se la mia formazione letteraria, musicale, filosofica non mi hanno permesso di penetrare totalmente – verso la fine del presente libro – nella specifica sezione su cui a Frascati ha lavorato il gruppo cui apparteneva Guidoni.
Gli studiosi – nei secoli – hanno diviso per categorie il sapere per una questione di comodo: storia della fisica, della matematica, della musica, della poesia, delle guerre, dell’economia, della pittura, della scultura, della medicina, della filosofia, della chimica, dell’astronomia, dell’agricoltura, della tecnologia, del teatro, del cinema, della botanica, dei tre regni della Natura, delle religioni etc. etc. etc. fino all’infinito. Ma chi produce il tutto è il solo cervello dell’uomo. E su questo organo ancora misterioso si basa la parte che mi ha affascinato di più: “Il sogno dell’uomo e la conoscenza”.
Io sono un determinista e un materialista (nel senso che la Materia per me ha qualcosa di divino e già Leopardi asseriva che essa pensa, sente, freme etc.), per cui l’esplorazione della sede dei nostri pensieri e delle nostre emozioni mi intriga sempre, una volta sciolto il nodo gordiano della separazione fra anima e corpo. Io credo al corpo. L’anima, per me, è la risultante dei processi biologici, elettrochimici del cervello e di tutto l’organismo. Posso sbagliare, ma la lettura del libro di Guidoni, specie della nuova disciplina scientifica, la Cibernetica, il suo sviluppo, la matassa multidisciplinare che porta alla macchina intelligente la quale simula le attività cognitive, e il macrocosmo e il microcosmo, nella fascinosa sterminata ‘irrealtà dell’universo’ (nel senso – dico – di un’astrazione per noi poveri mortali, limitati in un tempo millesimale fra il nascere e il morire, imprigionati su questa pallina sperduta nella sabbia infinita del deserto cosmico dove nulla è sincronico, ma tutto è scollato dal tempo unitario, perché l’alfabeto delle stelle è l’unico messaggero possibile fra mondi che non si incontreranno mai per le distanze fuori della nostra portata intellettuale, pratica, immaginativa etc.)… Mi sono perduto. Lo confesso, né cerco di rappezzare, ma non poteva essere altrimenti. Però non si perde Guidoni, mente complessa, il quale vorrebbe prendermi per mano e condurmi dove è arrivato lui con i suoi colleghi: «ma non eran da ciò le proprie penne», per dirla con Dante. Eppure, quel principio di indeterminazione, quell’impossibilità di una conoscenza oggettiva del mondo che ci circonda, l’avere ‘coscienza della propria coscienza’, e la zona affascinante delle neuroscienze per cui il cervello è un organo più complesso degli altri del nostro misterioso corpo, ma pur sempre un organo fisico da correggere, curare, come si fa col fegato o con i polmoni etc.: nel labirinto della Cibernetica, nel rapporto fra computer e nuovo modo di vedere il mondo, il ribaltamento del pensiero di Cartesio, la novità della tecnologia che ha mutato non solo il mondo, bensì l’uomo… Insomma, «il naufragar m’è stato dolce in questo mare».
Tutta la parte finale, l’ultima, basata, mi pare, sul concetto ologrammico (l’ologramma è la scrittura dell’intero oggetto) d’una scientificità a noi umanisti sconosciuta, dovrò rileggerla con l’ausilio di Guidoni, ma una cosa essenziale devo dichiararla, ed è per me la più importante, quella che giustifica l’esistenza di un libro: ho capito i concetti espressi mercé la chiarezza espositiva dell’autore ed è scaturita una curiosità che moltiplica la mia innata curiosità per ogni emanazione della vita, e condensa lo stupore che ho da prima di emettere parola, nel dubbio di farcela a entrare in questi ‘misteri’ sfiorati da sempre e mai approfonditi: l’età è avanzata. Forse resterà solo un sogno, ma un sogno meraviglioso della conoscenza, per la quale l’Ulisse dantesco sfidò l’ignoto e fu punito (incomprensibilmente) proprio davanti alla meta agognata. Questo, riguardo le mie possibilità limitate in tale campo. In quanto a Armando Guidoni, bisogna ammettere che il suo sforzo desta sete di sapere in chi è fuori del grande settore scientifico: e l’Italia dovrebbe investire di più in esso, specie nella scuola, riunendo finalmente quanto di umanistico c’è nella stessa tecnologia e quanto di scientifico è insito nell’umanesimo. Grazie, Armando: il sottotitolo Un approccio umanistico alla cibernetica è svolto pienamente, e te lo dico forse dimentico delle tue poesie che mi suscitarono già qualche dubbio (positivo) sulla necessità di fondere di nuovo cuore e ragione, tecnica e fantasia.

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