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#Nonleggeteilibri – La scuola cattolica

#Nonleggeteilibri – La scuola cattolica
Febbraio 18
18:41 2018

La scuola cattolica di Edoardo Albinati, Rizzoli 2016, € 18,00 isbn 9788817094429 e-book € 9,99 – disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net

Con La scuola cattolica – Rizzoli, Edoardo Albinati (Premio Strega 2016) disegna un cerchio nel quale include la parola ‘maschio’ e in oltre milleduecento pagine lavora con molti strumenti – dalle argomentazioni alla lingua, dall’informazione alla storia e filosofia, alla cultura della parola (rinnovata attraverso un universo di letture sugli argomenti contenuti nel suo lavoro e di cui non riporta bibliografia), a scontornare i bordi di quel cerchio a dimostrazione delle fasulle costruzioni dell’identità maschile, cattolica, romana, bianca, fino a toccare l’altra identità, quella femminile, tenuta separata nelle scuole maschili cattoliche e per questo divenuta presto ‘mistero’ eternamente presente fra i loro frequentatori.

Può darsi che potrà meglio apprezzare il libro chi in quell’ambiente, scuola femminile o maschile cattolica tenuta da suore o da preti, ha trascorso qualche anno della propria esistenza ma potrà apprezzare un’opera tanto scaltra, ragionata, di cuore, dal linguaggio a tratti così vicino al parlato della strada, immensamente urgente di questi tempi, anche chi ha voglia di pensare senza mandare in soffitta l’umorismo e il gusto per i contrasti forti che a tratti animano il romanzo di formazione che La scuola cattolica è assieme a svariati altri interessanti piani di lettura come si confà ad un’opera in parte così coraggiosa, che tale resta per l’argomento e perché scritta da un uomo. Gusterà il libro anche chi ha bevuto latte e cattolicesimo dalla nascita, non tanto e non solo in famiglia, ma per l’ambiente avvolgente intorno saturo di chiese e conventi e messe e liturgie che si respirava nelle vie di cittadine e paesi, e non ha mai introiettato nulla di tutto ciò dal punto di vista spirituale; se non un ricordo di ori e porpore e fiori proprio dei riti che, da cinquant’anni a questa parte, hanno preso a scaldare meno un popolo, già nelle famiglie ed anche nelle scuole dette cattoliche.

Il libro ‘lavora’ attorno ad un nucleo riferito al cosiddetto ‘Delitto del Circeo’, fatto gravemente delittuoso perché lesivo della libertà e dignità personali nei corpi e nelle anime di due ragazze, le povere Rosaria Lopez (1956-1975) che in quel frangente morì e, la miracolosamente sopravvissuta al massacro, Donatella Colasanti (1959-2005). Fatti come quello, seppur con contorni diversi, si vanno reiterando nella nostra società: nella quale allora faceva capolino un ragionare attorno ad un prossimo cambio d’ordine nei rapporti di genere e dopo quarant’anni, ormai alla svolta di conferma di quel cambiamento, secondo l’autore, i fatti di sangue con vittime, per la maggior parte di genere femminile, hanno assunto cadenza quotidiana quasi a serrare le fila di quell’ordine che in molti (compresi uomini fra i più insospettabili e anche molte donne) non vogliono che muti. Così, laddove se lo chiedono saggi e studi e sociologi e psicologi di fama allo studio di personalità contorte, è lo scrittore a chiedersi se quarant’anni sono trascorsi invano da quel tragico settembre 1975. Cosa è cambiato nella educazione maschile e femminile, nella percezione del proprio corpo e nell’inclusione della alterità di quello dell’altro (semmai questa sia mai stata una possibilità che questa società avrebbe inteso dare a se stessa).

I punti di vista dell’autore sono quelli d’uno scrittore di successo, d’un educatore carcerario, dell’ex compagno, presso l’Istituto cattolico di Roma San Leone Magno, di Ghira, Izzo e Guido i tre assassini del Massacro del Circeo. La ricostruzione d’un epoca conduce prima il lettore a sentirla dentro se stesso, davvero: non importano i vestiti e le auto di moda ma l’atmosfera sì; è un mondo non ancora connesso via social e telefoni. La noia dei ragazzi del Quartiere Trieste di Roma (nemmeno i tre assassini erano dei Parioli come si scrisse all’epoca) nei lunghi doposcuola fra condomini medio borghesi, padri al lavoro e madri casalinghe, dove i soldi non sono davvero un problema, ma la mancanza di riferimenti importanti che invece si crede ancora sopravvivano al dopoguerra, quella un problema lo è. Anche per le menti più fervide ed ingegnose che toccano spesso il ‘muro del nulla’: limite così chiaro alle ultime generazioni, in un vivere che molti adulti, increduli, pensano che poiché permeato di comodità lo sia anche di certezze, reti di rapporti, rispetto, cultura e che dovrebbe crescere in quella direzione, e che invece muore ogni ora, in una lotta a tratti impari con la società civile in evoluzione, come una pianta senza acqua né terra.

Il Delitto del Circeo, citato da Albinati nel libro sempre come DdC, alla fine del libro diventa più chiaro e perfettamente spiegabile, così come resta inspiegabile e compatto come il suo acronimo. Quello che invece si può, si deve imparare da un testo che oggi sarebbe il caso di consigliare nelle scuole, quale oggetto di studio nei gruppi di lettura in tutta la Penisola, è tutto ciò che se ne può trarre (il tono narrativo scelto dall’autore fa la differenza rispetto ad altre pubblicazioni sul tema). La prima lezione, forse, è quella di non porre le barriere dell’indignazione davanti all’umano: indignazione chiama pietrificazione dei fatti e non conoscenza ed evoluzione di questi nelle coscienze (come già suggerì E. St Aubyn nel suo imperdibile I Melrose, testo che lavorava narrativamente, invece, sul monolite famiglia e soprusi subiti in seno a questa, compreso l’incesto). Il libro può considerarsi uno strumento-laboratorio scevro dal voler suscitare interessi morbosi in semplici ‘lettori di storie’ (per quanto personaggi come Arbus o Cosmo non abbiano niente da invidiare ad alcun romanzo), ma con la sua mole scomoda anche da leggere e studiare (presto pesa su mani e polsi), è uno strumento-libro-laboratorio che si fa ricordare.

Per andare oltre la guerra fra i sessi occorrerà arrivare ad una nuova educazione maschile e femminile (lontana dalle fiabe di principi e principesse), oltre i perché della violenza, laddove questa si genera, oltre i simboli delle proteste, delle buone intenzioni che non intaccano d’un millimetro le realtà dentro le famiglie, nelle menti. La nevrosi di chi lo ha scritto, se compare nelle pagine, a volte pare generata dal timore di non riuscire a dire, a spiegarsi fino in fondo, nel cercare l’archetipo di sensazioni maschili provate e raramente scambiate a parole con altri maschi. Sul baratro del mistero che è l’altro e che dovrebbe rimanere tale, una di quelle meraviglie che possono animare l’esistenza senza rovinarla (meraviglie che a volte si cercano in molte panacee), a patto di mantenere una condizione di rispetto, di dialogo, di conoscenza di se stessi, senza le quali può farsi strada la tentazione di gestire l’incontro con l’altro attraverso violenza verbale o fisica tipica dei rapporti di forza, di potere, di sopruso. Come di chi voglia possedere ‘consumisticamente’ e buttare via. Ma il pericolo è fattivo così come intellettuale in un passaggio davvero attuale alle pagine 856- 857 del libro: «Se vuole sopravvivere in un mondo oramai ostile alle esibizioni di ferocia che prima ammirava, il cacciatore archetipico deve trasformare la sua esuberanza violenta in malizia, la crudeltà fisica in mentale, il furore venatorio ritorcerlo contro i suoi simili in modo che diventi redditizio, non più per l’intera comunità ma solo per se stesso. Invece che i cervi, caccia le donne o i farmacisti o i portavalori. O gli immigrati. Il suo killer instinct lo scatena sui campi di squash e nei dibattiti televisivi. Fa a pezzi l’avversario con i dossier invece di usare la clava. La sua guerra è quasi sempre individuale.». (Serena Grizi)

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